Al netto delle polemiche di questi giorni – usate ahinoi più per fini elettorali – il nodo dell’integrazione degli stranieri a scuola va osservato e reso oggetto di un lavoro. In gioco ci sono il presente e il futuro del nostro Paese. Dal punto di vista culturale, sociale ed economico. Qual è il modo migliore per “rendere parte” del nostro sistema sociale persone di diversa etnia, fede, cultura, lingua e tradizione? Cosa significa “integrare”? È necessario annullare le rispettive identità? Quali rischi si corrono a “concedere” un giorno festivo nella ricorrenza del Ramadam, come avrebbe voluto la scuola di Pioltello, poi tornata sui suoi passi su “invito” del ministro Valditara? Quali problemi si registrano, oggi, nelle scuole del nostro territorio? E soprattutto: “chi sono” i bambini e i ragazzi stranieri che popolano i nostri istituti? Possiamo davvero definirli tali, cioè stranieri?
Questi e tanti altri interrogativi sono alla base del nostro approfondimento di queste pagine. Partiamo intanto dai dati, che dicono, come prevedibile, di un aumento della presenza di studenti non italiani in ogni ordine e grado delle nostre scuole. Quella straniera è probabilmente la presenza che “salva” i numeri della popolazione scolastica nostrana. Su un totale di 14.470 alunni, il 21,34% (cioè 3.088) sono non italiani. Una percentuale che è il doppio di quella registrata su scala nazionale, superiore anche a quella regionale e che fa emergere il profilo marcatamente multiculturale del sistema scolastico del nostro capoluogo. Più preoccupante, invece, la distribuzione degli stessi. La presenza straniera si concentra, infatti, negli inidirizzi professionali, quelli cioè in cui le competenze richieste sono tecniche, manuali e organizzative più che linguistiche. In alcuni casi, il numero dei non italiani arriva anche al 90% nelle singole classi, disattendendo l’indicazione del ministro. Attenzione, però. Va fatta a questo punto una considerazione utile e che tanti nostri interlocutori hanno sottolineato: le statistiche annoverano come stranieri gli alunni che, pur non avendo cittadinanza italiana, sono di fatto (...).
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