Dentro un dolore si può rinascere? Non c’è risposta univoca né automatica. «Ci sono donne che si sono messe in cammino», dice Nicoletta D’Oria Colonna. Per ricostruirsi, prima ancora che per essere risarcite. Casa di Nostra Signora esiste per questo. Braccio operativo di Caritas Cremonese, è stata fortemente voluta dalle Oblate di Nostra Signora «per non interrompere mai il dialogo culturale intorno alla donna», dice don Pier Codazzi, direttore di Caritas Cremonese. «E’necessario un impegno ecumenico per contrastare la violenza, educando sia gli uomini sia le donne di domani, perché intervenire dopo è comunque tardi». La struttura di via Ettore Sacchi accoglie situazioni di grande fragilità, nel 90% delle quali interessa donne che hanno subito violenze. Dall’inizio dell’anno, ne sono state accolte 34, con progetti difficilmente inferiori ai dodici mesi. E 26 sono i minori al seguito, l’80% dei quali sotto i cinque anni.
Nicoletta D’Oria Colonna è la coordinatrice dal 2017, anno dell’inaugurazione. Si occupa di relazione di cura da diversi anni, ha un bagaglio d’esperienza che le permette una consapevolezza e un coinvolgimento indispensabili per varcare la soglia di certi dolori. Le storie di violenza con cui ha a che fare nascono perlopiù sul terreno della solitudine e della non emancipazione. «La maggior parte delle persone che accogliamo in struttura – dice Nicoletta – ha un basso livello culturale o delle fragilità cognitive. Soprattutto, ha una rete familiare assente o inadeguata». Proprio su questi punti si concentra il lavoro delle operatrici di Casa di Nostra Signora. «Parliamo di donne che hanno un’età media tra i 25 e i 35 anni, a cui è proposto il raggiungimento di un titolo di studio, anche solo la terza media o l’apprendimento dell’italiano per chi è straniero. Qualcuna accetta di frequentare percorsi per ottenere una qualifica in ambito sanitario, figure molto ricercate sul nostro territorio». Non è una novità il fatto che le violenze siano subite perlopiù in casa: dai compagni, dai mariti, dai fratelli o dai padri, comunque da persone note e della famiglia. Prevenirle è il punto su cui vanno concentrati gli sforzi maggiori, «innanzitutto – dice D’Oria Colonna – con una cultura del rispetto e dell’incontro. Oggi la relazione è avversata in tutti i modi. Pensi al dialogo che non c’è più. Noi, però, interveniamo a cose fatte, scontrandoci anche con barriere burocratiche e istituzionali che rallentano la possibilità di un percorso di ricostruzione. Per le straniere, ad esempio, il percorso per l’ottenimento del permesso di soggiorno implica tempi eccessivamente lunghi rispetto alle esigenze. E i contratti di lavoro hanno durata troppo breve per consentire l’affitto di un alloggio o peggio si lavora senza contratto».
C’è qualche caso di donna che “ce l’ha fatta”?
«Diciamo che si potrebbero raccontare storie di donne che si sono messe in cammino. Per arrivare dove, non siamo del tutto in grado di verificarlo. Diciamo che hanno intrapreso una strada che ci fa sperare bene. I migliori percorsi sono quelli in cui la persona si rimbocca le maniche, si mette a studiare e impara un mestiere, anche supportata da percorsi psicologici importanti. Ma non è facile».
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