L’Assemblea degli azionisti di Finarvedi Spa, riunitasi sotto la Presidenza del Cav. Giovanni Arvedi, ha approvato il bilancio di esercizio e i dati consolidati del Gruppo al 31 dicembre 2012.
Nonostante il persistere della crisi economica e il difficile momento del settore siderurgico, il Gruppo Arvedi è riuscito anche nell’esercizio 2012 a conseguire risultati positivi.
In sintesi, al 31 dicembre scorso il gruppo ha registrato un fatturato pari a 2.186 milioni Euro, in lieve flessione rispetto ai dati del 2011, anno caratterizzato da un livello più elevato dei prezzi di mercato, ottenendo un Utile netto d’esercizio di 23 milioni di euro – dopo aver contabilizzato 107 milioni di ammortamenti e tenuto conto anche di proventi straordinari. Il Margine Operativo Lordo è risultato pari a 180 milioni. Nel 2012 il Gruppo Arvedi ha inoltre migliorato la propria posizione finanziaria netta che, ridotta di 129 milioni rispetto all’anno precedente, si è attestata a 689 milioni di Euro.
Il Gruppo ha poi confermato il trend di crescita produttiva degli anni precedenti, segnando un + 8% nei volumi (produzione e vendita), a dimostrazione della capacità competitiva raggiunta grazie agli sforzi realizzati in campo tecnologico, ovvero gli investimenti che hanno consentito di ottimizzare i processi produttivi e di operare con costi di produzione efficienti. Ciò ha consentito al Gruppo di perseguire una politica commerciale volta all’incremento delle esportazioni, in particolare verso i più dinamici mercati extra-europei e di soddisfare – attraverso un’ampia e articolata gamma di prodotti ad alta qualità e ad alto valore aggiunto – la sempre più esigente clientela. Diversi infatti sono i mercati di riferimento, sia a livello geografico (dal Brasile alla Germania), sia settoriale (dall’automotive alle costruzioni, dal petrolchimico al biomedicale).
A proposito degli investimenti, l’importante programma intrapreso da Arvedi a partire dal 2006 (investiti in totale 1,2 miliardi di Euro) è stato completato proprio in questo esercizio.
In particolare Acciaieria Arvedi, a partire dal 2013, può contare su tutti gli impianti e i cicli di produzione (dall’acciaio liquido al prodotto finale) pienamente integrati e operativi e può essere considerata la più moderna acciaieria d’Europa, nonché tra le più moderne a livello mondiale. Sempre alla luce di tali investimenti (unici per il settore negli ultimi anni), l’acciaieria cremonese sarà in grado di produrre circa quattro milioni di tonnellate di acciaio all’anno.
La decisione di intraprendere un percorso di investimenti così importante – dichiara Giovanni Arvedi - è stata strategicamente lungimirante per il nostro presente ma soprattutto di fondamentale importanza per il nostro futuro. Ci ha permesso infatti di ridurre considerevolmente i costi fissi e quelli variabili per unità prodotta e di migliorare il mix di vendita, consentendoci, anche in questo periodo di dura competizione, di rimanere concorrenziali e di produrre a piena capacità produttiva.
Tra gli obiettivi prioritari del Gruppo c’è quello di ridurre la posizione finanziaria netta e di tornare, nel giro di pochi anni, all’equilibrio patrimoniale/finanziario che ha caratterizzato gli esercizi precedenti l’avvio dei massicci investimenti. La crisi del mercato iniziata nella seconda metà del 2008, ha rallentato questo processo riducendo la marginalità; in particolare il MOL che Acciaieria Arvedi aveva conseguito mediamente nel decennio precedente al 2008 nell’ordine del 14%, è sceso dal 2008 intorno al 9%.
Gli indicatori mondiali – ha proseguito il Cav. Arvedi - cominciano a prevedere un miglioramento nel mercato dell’acciaio a partire dal 2014, specie negli Stati Uniti dove, anche in virtù del costo del denaro prossimo a zero, il mercato delle costruzioni residenziali e quello dell’automobile stanno dando segni di netta ripresa. Oltre a ciò, l’economia americana sta risentendo positivamente delle maggiori esportazioni e beneficiando della crescente autonomia dal punto di vista energetico, legata alla diffusione dello “shale gas”. A nostro parere lo sviluppo dell’economia statunitense dovrebbe consentire al sistema finanziario di riequilibrare il livello del cambio dollaro/euro su valori più attinenti alla situazione reale.
Riteniamo che – ha concluso Arvedi - il valore del cambio tra dollaro ed euro, oggi artificialmente troppo alto, non riflettendo la parità reale rappresenti un grosso handicap per l’esportazione, soffocando le imprese e quindi l’economia italiana da diversi anni. Ora serve ossigeno per far ripartire l’economia italiana ed europea: il sistema finanziario americano sa che avere un’Europa troppo debole non è nel suo interesse, in quanto il nostro continente rimane sempre il loro primo naturale cliente. Pensiamo che la via più rapida sia quella di operare sul cambio come hanno fatto il Giappone e altri paesi. Ci auguriamo che chi riveste posizioni di responsabilità, agisca con decisione e tempestività.
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