Passeggiare nell’ala del Museo Diocesano di Cremona dedicata alla mostra temporanea del fotogiornalista argentino Pablo Ernesto Piovano Mapuche, il ritorno delle voci antiche è come fare un viaggio a volo d’uccello sulla storia delle Americhe. Quella linea immaginaria che lega le due estremità del continente, dai ghiacci dell’Alaska, fino alla Terra del Fuoco, passando per le montagne dei nativi e per la cordigliera delle Ande, sembra raccontare capitoli diversi di un’unica storia: quella di popoli colonizzati, dominati, sterminati, confinati in riserve e che lottano per mantenere viva la loro identità. Mi è sembrato, nel trovarmi accanto a una tavola con i simboli Mapuche, di rileggere le parole dei diari di Warburg o di Artaud sul Rituale del Serpente o sulla Danza del Peyote, di ricordarmi del Serpente Piumato azteco Quetzalcoatl e della stilizzazione delle squame rettiliane che sono simbolo di fertilità, ma anche di una freccia o di un fulmine. Storie che legano la Grande Madre Terra ai suoi Figli.
Non è un caso, forse, che Mapuche significhi nella lingua mapudungun “Popolo della Terra” (che “Popolo” e mapu, “della Terra”) e che sia il nome di un popolo amerindio originario del Cile centrale e meridionale e del sud dell’Argentina impegnato a resistere ai tentativi di invasioni che, fin dall’Impero Inca, passando per quello della corona spagnola e alla formazione degli stati argentino e cileno, si sono succedute.
“Il fotografo argentino Pablo Ernesto Piovano documenta con grande sensibilità e profondità le lotte di questo popolo per difendere e rivendicare il diritto alle loro terre ancestrali sottratte durante le colonizzazioni e successivamente occupate da grandi aziende agricole, forestali, minerarie e idroelettriche e che difendono come spazi sacri e vitali per il loro sostentamento e identità. L’espansione industriale, il fracking e le monocolture hanno devastato il loro ecosistema e minacciano le risorse naturali a cui accedono, soprattutto l’acqua”. ...
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