«Una nuova agenda politica
basata sui rapporti
di Draghi e Letta.
E basta
con le follie
del Green Deal»
Tutto dipenderà dal voto del 27 novembre quando, riuniti in sessione plenaria a Strasburgo, gli europarlamentari si esprimeranno. L’accordo di coalizione tra i gruppi politici di maggioranza al fotofinish e, dichiara Massimiliano Salini, vicepresidente del PPE, «con tante insoddisfazioni e capricci» è stato raggiunto nella notte fra mercoledì e giovedì. Se reggerà alla prova del voto, la seconda Commissione Von der Leyen composta da 11 donne e 16 uomini, con 6 vicepresidenti esecutivi, si insedierà il 1 dicembre. Quanto forte, lo dimostrerà solo il tempo, ma la crisi di questi giorni, con lo stallo generato dai veti incrociati sui nomi dei candidati commissari Ribera e Fitto, non rappresenta sicuramente il miglior modo di iniziare. In questa lunga intervista il vicepresidente del PPE, Massimiliano Salini, svela i retroscena di questa crisi «di fiducia» fra Popolari e Socialisti che ha rischiato - e ancora rischia dato che il passaggio del 27 novembre sarà decisivo - di far deragliare la seconda Commissione von der Leyen ancora prima che vedesse la luce. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Onorevole Salini, cosa ha portato allo stallo attuale?
«La prima settimana ha riguardato i 20 commissari diversi dai 6 candidati alla vice presidenza esecutiva. La seconda settimana, in particolare il martedì, è stata caratterizzata dalla giornata di audizione dei sei candidati designati a ricoprire il ruolo di vicepresidente esecutivo. La prima settimana è andata via abbastanza liscia, tranne due mezzi inciampi. Uno sulla candidata svedese che non ha immediatamente superato l’audizione per poi superarla successivamente, e poi con il candidato ungherese che non ha superato l’audizione e si trovava nel calderone delle situazioni sospese insieme al pacchetto dei vicepresidenti esecutivi».
Un problema unicamente di nomi, o c’è dell’altro?
«In realtà, già durante le audizioni della prima settimana erano emersi, evidenti, gli spigoli legati a questa insofferenza da parte della sinistra europea verso una nuova e vibrata disponibilità al dialogo da parte dei Popolari nei confronti dei conservatori, costellata da aperture su alcuni emendamenti che sono stati votati con il sostegno dell’intera destra europea. La cosa che sorprende è che questi avvenimenti vengono dipinti come nuovi e denunciati in modo piuttosto capriccioso, a mio modo di vedere, da parte dei progressisti. In realtà è sempre accaduto che, sui capitoli più ideologizzati del Green Deal, il Ppe si sia trovato a votare con la stessa modalità in cui anche la destra ha votato, ma non perché il Ppe abbia deciso di abbandonate la cultura popolare e moderata, ma semplicemente perché, come accaduto ad esempio nel tanto discusso regolamento sulle emissioni dei veicoli leggeri che prefigura il bando del motore endotermico dal 2035, in quell’occasione, così come sulla legge di rinaturazione, il Ppe si ritrovò a votare esattamente come i cosiddetti patrioti».
Quindi, nessuna novità rispetto alla precedente legislatura.
«La differenza è che quegli emendamenti...
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