In una Washington blindata dopo l’assalto a Capitol Hill fomentato da Donald Trump lo scorso 6 gennaio, oltre 25.000 soldati hanno protetto la cerimonia di insediamento del 46mo Presidente in uno dei simboli più importanti della democrazia americana. Alle 12 del 20 gennaio Joe Biden e la sua Vicepresidente Kamala Harris hanno giurato fedeltà all’America. Una celebrazione senza dubbio molto diversa rispetto alle precedenti, scandita da un clima di emergenza su diversi fronti: dalla pandemia di Covid-19 che ha impedito la presenza del pubblico alla paura di un altro “colpo di Stato”, al boicottaggio da parte del Presidente uscente che si è rifiutato di partecipare alla cerimonia. E dopo aver perdonato gli “imperdonabili”, Trump si defila dalla White House la mattina stessa, sempre più isolato, ma con un commiato che appare come una minaccia: «Ci rivedremo ancora». Una situazione a dir poco imbarazzante, accaduta solo due volte nella storia presidenziale degli States, che ha messo in evidenza ancora una volta il fallimento e l’irresponsabilità di Trump e della sua narcisistica presidenza. Presenti invece alla celebrazione Barack Obama, Bill Clinton e George Bush. Con l’inizio dell’era Biden-Harris si volta pagina, si riscrive la democrazia nel segno di quella unità che The Donald ha voluto spezzare - Divide et impera è in fondo il miglior espediente di una tirannia o di un autoritarismo – si celebra l’equità e l’uguaglianza razziale. Si celebra il popolo. A Lady Gaga il compito di interpretare il National Anthem, a Jannifer Lopez di intonare “This Land is your Land”, celebre canzone tra le più popolari negli States scritta nel 1940 dal cantante folk Woody Guthrie su una melodia esistente redatta da The Carter Family. Una performance impeccabile che la regina del pop termina con un toccante grido in lingua spagnola: “Libertad y justicia para todos”...
Anna Casotti
giornalista cremonese
residente a New York
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