Oltre 30 milioni di euro. E’ questo – spiega Coldiretti Lombardia in occasione della Giornata nazionale a difesa del grano italiano – il danno subito dagli agricoltori lombardi a causa del crollo delle quotazioni del grano nell’ultimo anno, senza che sui prezzi al dettaglio ci siano stati benefici apprezzabili per i consumatori. Sulla piazza di Milano dal 2015 a oggi – spiega la Coldiretti Lombardia - il frumento duro (quello che serve per la pasta) è precipitato del 40%, da poco più di 33 centesimi a circa 20 centesimi e mezzo al chilo, mentre il frumento tenero (quello che serve per pane e biscotti) ha perso il 14% del valore passando dai 24 centesimi e mezzo al chilo del luglio dell’anno scorso ai 21 centesimi attuali.
“Coltivo grano su 45 ettari di terra – spiega Emanuele Arvetti, di Commessaggio (Mantova) - lo vendo ai mulini per produrre il pane, per ora resisto ma è davvero difficile, perché i costi sono aumentati ancora rispetto allo scorso anno e i prezzi continuano a calare. L’anno scorso avevo anche il grano duro, ma poi ho intuito che la situazione sarebbe precipitata e ho smesso”. Arnaldo Freri, classe 1958, coltiva 42 ettari a Annico (Cremona), in gran parte a frumento duro e tenero: “Siamo preoccupati per il futuro, perché con queste quotazioni è difficile andare avanti. Produciamo a costi locali ma poi ci tocca vendere a prezzi globali, con logiche e speculazioni che non tengono conto della qualità del prodotto”.
Un crack senza precedenti – denuncia Coldiretti – con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa delle manovre di chi fa acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da "spacciare" come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. Nei primi quattro mesi del 2016 gli arrivi di grano in Italia sono aumentati del 10%, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat. Il risultato è che un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero, così come la metà del pane in vendita, ma i consumatori non lo possono sapere. Senza dimenticare che il prodotto estero che sbarca nei porti nazionali, al contrario di quello italiano, ha spesso alle spalle tempi lunghi di trasporto e stoccaggio. Basti pensare – denuncia Coldiretti – al paradosso del grano del Canada, paese dove la raccolta avviene in settembre e arriva in Italia già vecchio di un anno.
L’Italia è il principale produttore europeo di grano duro, con circa 1,3 milioni di ettari per oltre 4,8 milioni di tonnellate di produzione che si concentra nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano il 42% della produzione nazionale. Più limitata è la produzione del grano tenero con 3,2 milioni di tonnellate su 0,6 milioni di ettari. In Lombardia – spiega la Coldiretti regionale - si coltivano 24 mila ettari a grano duro, mentre le superfici a frumento tenero (per pane e biscotti) sono pari a 59.723 ettari.
“Come per tutti gli altri prodotti, anche per il grano usato nella pasta e nei derivati e trasformati occorre l’indicazione di origine – spiega Ettore Prandini, Presidente della Coldiretti Lombardia – ma bisogna aggiungere l’indicazione della data di raccolta e il divieto di usare grano extra comunitario oltre i 18 mesi dalla data di raccolta. Dobbiamo poi dire basta alle importazioni selvagge a dazio zero che usano l’agricoltura come mezzo di scambio nei negoziati internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale”.
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