La bocciatura di Alberto Veronesi
Come è noto, difficilmente i “figli di” sono in grado di emulare i padri (o le madri). Anzi sovente crescono nell’ombra della personalità di genitori importanti (e ingombranti), restandone soggiogati e intraprendendo percorsi di vita talvolta tortuosi o irti di difficoltà. Nel campo dell’arte sono rari i casi di figli che si siano avvicinati alla grandezza di avi geniali, salvo rare eccezioni come quella per esempio rappresentata da Johann Sebastian Bach che ebbe almeno un paio di rampolli (Carl Philipp Emanuel e Johann Christian) degni di cotanto padre, ma in tal caso ebbe una prole così numerosa (20 discendenti) che il risultato positivo si deve anche alla cosiddetta “legge dei grandi numeri”. Per venire a un caso del nostro tempo, non era un artista Umberto Veronesi, anche se amava molto la musica. E’ stato un luminare dell’oncologia, più volte in odore di Nobel per le sue straordinarie ricerche, e ha avuto un bel po’ di figli, sette tra maschi e femmine. Tra questi uno dei più noti è il direttore d’orchestra Alberto, oggi 58enne, lanciato nel ‘96 da un importante debutto salisburghese alla guida dell’Orchestra Cantelli su invito di Claudio Abbado e poi in grado di intraprendere una carriera che ha spesso diviso pubblico e critica. Veronesi jr ha fatto molto parlare di sé nei giorni scorsi “grazie” a una Bohème diretta a Torre del Lago, una prima del festival pucciniano subito ribattezzata “gelida manfrina” e che si è sviluppata in un clima a dir poco surreale, con strascichi che durano ancora oggi....
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