Sono 51 nella nostra provincia
Quello di Cremona il più antico
In Italia si contano 180 mila imprese che movimentano oltre 23 miliardi all’anno. Senza contare un indotto che quasi triplica il giro d’affari: l’ambulantato rappresenta il 13% del Pil del settore terziario. Anche in provincia, tra luci e ombre (quelle della crisi generalizzata e delle problematiche locali) il mercato si rivela la spina dorsale del commercio al dettaglio con 773 imprese che fatturano ciascuno una media di 130mila euro. Molte al femminile (150) e negli ultimi tempi gestite da giovani (104). Un settore che parla sempre più straniero: 380 operatori extracomunitari contro 459 italiani.
Una fonte di ricchezza per il tessuto economico di una città, al quale si legano spesso iniziative collaterali. «Ovunque – racconta Agostino Boschiroli, referenti Anva e ambulante da quando aveva 17 anni – si può registrare quanto la presenza sulle piazze di attività organizzate di ambulantato sia un balsamo anche per tutto ciò che sta attorno. Un esempio? Il trasferimento del mercato di Cremona: in dieci anni si è assistito ad una lenta e progressiva chiusura o contrazione delle attività che si affacciavano su piazza Marconi e alla fioritura di altre in piazza Stradivari. Questo è un segnale che non va sottovalutato: spostare un mercato è come spostare un centro commerciale, creando un vuoto incolmabile». Anche i dati Aem sui flussi di persone confermano questo ruolo catalizzatore: se in una normale giornata nel capoluogo gravitano 54.000 persone nei giorni di mercato sono 96.000.
La piazza è la cartina torna sole di cambiamenti sociali, economici e culturali, essendo fondamentalmente un grande luogo d’incontro. Se storicamente gli ambulanti erano italiani e di generazione in generazione si passavano in eredità l’attività lavorativa, dal 1995 si è assistito ad un incremento di operatori stranieri. I primi a buttarsi nell’acquisto di licenze sono stati senegalesi e marocchini sollecitati in questo dal fatto che l’avvio dell’attività fosse legata alla possibilità di ottenere permessi di soggiorno. Dal 2009 dietro ai banchi si sono succedute famiglie orientali grazie alla liquidità garantita da tassi agevolati e incentivi della Banca Centrale cinese. «Oggi invece – spiega Boschiroli – si assiste ad un ritorno. I cinesi stanno vendendo le licenze per insediarsi in negozi e a comprarle sono sempre di più ragazzi italiani». Negli ultimi mesi, già 8 nuovi operatori si sono iscritti alla Camera di Commercio. «L’aumento delle richieste è un effetto della crisi – assicura il rappresentante Anva -. Chi non trova un’occupazione pensa che questo sia un modo semplice ed economico per inserirsi nel mondo del lavoro». In realtà, per iniziare serve un investimento di almeno 100mila euro per acquistare le attrezzature (dal furgone ai banchi), aprire la partita Iva e acquistare una licenza. «Esternamente il nostro settore può apparire disordinato – spiega -. Invece, le regole sono precise». In assenza di liberalizzazione, le licenze restano un piccolo tesoretto. Nessuno può possedere più di due posteggi, si deve arrivare in loco entro le otto, garantire il servizio fino alle 13 e sgomberare entro le 14, pena pensanti sanzioni.
Anche da un punto di vista delle vendite, il mercato è lo specchio del presente sebbene sia il settore che ha risentito meno della crisi. «Se consideriamo il commercio come una piramide, noi siamo alla base – sottolinea Boschiroli -. La clientela è cambiata: chi un tempo si poteva permettere la boutique, oggi compra in piazza».
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