Mercy tira un sospiro di sollievo. Ha appena appoggiato la valigia sul letto. Estrae adagio i suoi vestiti e i giocattoli del suo bambino. Per terra c’è la borsa del marito, Oussman: un bagaglio piccolo che contiene tutti i suoi averi. I volti sono tirati e stanchi. Sono quelli di chi ha affrontato un lungo viaggio e spera di essere approdato all’ultima destinazione. Lei nigeriana e lui ghanese, sono una delle famiglie straniere in arrivo dalla Libia e accolte nel condominio “Solidale” di via Trotti. Un edificio dato in affitto al Comune dove tra tanti progetti di sostegno hanno trovato spazio anche i rifugiati politici, gente che ha dovuto abbandonare la propria terra e che ha trovato riparo in Italia.
Marzo 2013: spirano ancora forte i venti della “Primavera araba”. E spingono la maggior parte di chi chiede asilo. A Cremona oltre agli 80 ospitati nelle strutture della Caritas, tramite il “Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati” (SPRAR) finanziato dal Ministero dell’Interno sono arrivate tre famiglie. Mercy, Oussman e loro figlio di cinque anni sono tra queste. La loro storia è lunga come il loro cammino. Prima in fuga dalla Nigeria, quindi dalla Libia, paese che amavano molto e dove si erano fermati diversi anni. Dopo i primi scontri che hanno portato alla caduta di Gheddafi, si sono imbarcati su una delle tante navi della speranza, direzione Lampedusa. In Sicilia sono stati separati: lei e il bimbo in un centro, lui in un altro. A Bari si sono riuniti per essere dirottati su Cremona, quando si è aperta una possibilità di alloggio. Non hanno voglia di parlare: la fatica e il timore sono più forti del desiderio di fare conoscere la loro vicenda. Ci sono poi Blessing e Kinsley. Sono giovanissimi. Si sono sposati in Nigeria quando entrambi avevano 19 anni. Lui fisico d’atleta, lei viso e sorriso da bimba cresciuta in fretta, sono scappati per sottrarsi alle regole di una società arcaica che non rispetta la libertà e il corpo delle donne. «Nel mio paese facevo la parrucchiera – racconta in inglese Blessing, mentre Lara Raffaini, mediatrice culturale che collabora con il Comune di Cremona per conto della Cooperativa Sociale Nazareth, la incoraggia con lo sguardo –. La madre di Kinsley era una mia cliente. Ci siamo conosciuti così». Un grande amore che li ha portati alle nozze e quindi alla decisione di andarsene. Le loro famiglie li hanno sostenuti e in‐ coraggiati a cercare altrove pace e serenità. «Sono stati loro a convincerci a partire proprio per proteggerci». La voce si fa roca, tremante nel ricordare i propri cari: in Africa lei ha lasciato il fratello, unico affetto che aveva; mentre lui, genitori e sorelle. Pronto al sorriso e dallo sguardo solare, si commuove e si rifugia in un’altra stanza del piccolo monolocale mentre la moglie continua a raccontare. «Vorremmo trovare un lavoro. – dice – Mio marito faceva il piastrellista ma andrebbe bene qualsiasi impiego. Lo stesso vale per me». Racconta Blessing, seduta al tavolo della piccola cucina che fa anche da ingresso e che, insieme ad una camera da letto e ad un piccolo bagno, è diventata la loro prima casa. Grazie ai fondi straordinari che la Farnesina ha messo a disposizione per affrontare l’emergenza del Nord Africa, altre famiglie hanno potuto iniziare qui una nuova esistenza. Lontani da guerre, persecuzioni e situazioni governative pericolosamente instabili. «Il comune di Cremona – spiega Raffaini che segue le vicende dei profughi ormai da anni –, ha beneficiato all’incirca di 80 mila euro per il 2013 grazie all’ampliamento della rete nazionale Sprar, con la finalità di “smaltire” l’utenza temporaneamente accolta nei CARA del Sud Italia giunta nel nostro paese a seguito degli scontri verificatisi nel Nord Africa nel 2011. Cremona ha offerto a livello nazionale 6 posti. Attualmente gestiamo tre nuclei familiari con un bimbo per un totale di sette persone». Inizialmente, tutti i rifugiati erano ospitati nelle ex scuole di Picenengo, ma l’obiettivo dell’as‐ sessore alle politiche sociali Luigi Amore è quello di dismettere l’edificio (che ospita ancora due nuclei ex Sprar e che ora sono stati inseriti un altro percorso seguito dai servizi sociali) e trovare altre sistemazioni. Più centrali e più comode: «Occorre mettere queste persone in relazione con il tessuto cittadino – sottolinea –. L’edificio di via Trotti così come altri appartamenti messi a disposizione per lo Sprar sono in ottime posizioni, vicino a negozi e uffici. Dove è più facile per chi è già in difficoltà con la lingua e un nuovo percorso di vita entrare in contatto con una realtà diversa e inserirsi nel tessuto sociale». E nel condominio “Solidale”, alle spalle della chiesa di Sant’Ilario e a due passi dal Corso, questi obiettivi sono raggiunti anche grazie ad una forma di mutuo‐aiuto che si è sviluppata in modo naturale tra vicini di casa. Complice un’architettura a ringhiera, con scale e balconate comuni, i nove appartamenti si affacciano su un patio che d’estate è un punto di ritrovo per grandi e bambini: «E’ bello vedere questa collaborazione nata tra persone con storie differenti e complicate – spiega Simona Saletti, educatrice di “Nazareth” ‐. I ragazzi italiani aiutano chi ha difficoltà nella lingua; alcune ragazze si occupano dei più piccoli; a volte condividono i pasti attraverso i quali ognuno fa conoscere le proprie origini e tradizioni». Punto di riferimento per tutti è il custode, Luciano Fontana.
In via Corradino abitano Thomas e Gift. Nigeriani di 28 anni, sposi non per amore ma per imposizione, portano le cicatrici della discriminazione più pesante e di regole culturali alle quali non ci si può ribellare, senza rischiare la vita. Il loro matrimonio combinato li ha uniti in una sorte difficile. Insieme hanno affrontato il primo viaggio verso la Libia, nel 2009, per respirare libertà. Poi, nel 2011 la fuga precipitosa in Italia «Camminavo per strada guardandomi continuamente alle spalle. Vivevo nel terrore – racconta Thomas, seduto su una panchina dei giardini nel quartiere Villetta – soprattutto per persone come noi, di colore, e per le donne, era un rischio uscire di casa». La traversata del Mediterraneo è un brutto ricordo. Thomas e Gift l’hanno affrontata nascosti nella stiva di uno dei tanti barconi. Dieci ore, trattenendo il fiato. In compagnia di altri disperati che per il miraggio di un destino migliore hanno speso tutti i loro risparmi. Molti si sono indebitati, altrettanti sono finiti nella rete di organizzazioni criminali che gestiscono il racket. Il “biglietto” per imbarcarsi costa tra i due e i tremila euro. E a “Itaca” non è detto ci si arrivi. «Qui ho un’esistenza che mai avrei sognato – ammette lui –. Al mattino vado a scuola alla Campi dove seguo un corso di italiano». Anche per Thomas, così come per tutti gli altri, il progetto Sprar durerà 8 mesi. Un tempo relativamente breve per riuscire a camminare sulle proprie gambe e conquistare di nuovo autonomia. «Anche dopo, queste persone non saranno abbandonate – sottolinea la mediatrice –. Se ne prenderanno carico Servizio Pubblico e Terzo Settore (Coop Nazareth, in particolare). La necessità è quella di ampliare il range delle offerte sul territorio: dall’accompagnamento educativo all’integrazione, all’apprendimento e potenziamento della lingua italiana, dall’inserimento scolastico dei minori all’appoggio legale e burocratico per l’espletamento delle procedure correlate al rilascio del permesso di soggiorno. Senza dimenticare un supporto all’inserimento lavorativo anche attraverso borse lavoro e tirocini». Per il prossimo bando Sprar, il comune intende presentare un altro progetto. Dopo l’ondata dei “libici”, si prevede quella dei profughi dal Mali. Un nuovo allarme alle porte. Vietato farsi trovare impreparati.
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