Ormai restano da completare solo le opere interne, poi è pronto l’immobile su due piani con mansarda, di proprietà della Diocesi di Kiev, destinato ad accogliere profughi e reduci di guerra, provenienti dal Donbass o dalle zone di conflitto, da inserire in percorsi di recupero clinico e psicologico.
L’anno scorso sono partiti i lavori di ristrutturazione, in parte finanziati in proprio a livello diocesano, in parte grazie al significativo contributo economico assicurato da Fondazione Moreni di Cremona: è la Onlus sorta in memoria di Fabio Moreni, il volontario cremonese ucciso nel 1993 mentre portava aiuti umanitari nella ex-Jugoslavia, dilaniata dalla guerra.
Il presidente di Fondazione Moreni, Gianluca Arata, preferisce non specificare l’importo dell’intervento: «Il nostro ha voluto essere un sostegno, peraltro nemmeno decisivo, perché i fedeli della Diocesi hanno provveduto anche con mezzi propri e con raccolte-fondi promosse localmente», specifica.
Come si è sviluppata la collaborazione tra Fondazione Moreni e la Diocesi di Kiev?
«La collaborazione è partita l’anno scorso e si è posta sul piano dei trasporti umanitari. In particolare, avevamo finanziato l’organizzazione di quattro Tir. Ricorrendo tuttavia il trentennale dell’eccidio in cui perse la vita Fabio, abbiamo percepito l’esigenza di fare qualcosa di più: così abbiamo deciso di finanziare l’intervento sull’immobile di Kiev. Un impegno, questo, protrattosi anche nel 2024, fino a completamento».
Proseguono però anche i trasporti umanitari?
«Sì, stando anche ai costi richiesti, puntando magari su trasporti “mirati”: i generi alimentari, quelli di prima necessità in particolare, sono, ad esempio, molto graditi, specie alla Caritas di Kiev, così come i farmaci ed il materiale sanitario, che vengono distribuiti poi alle famiglie richiedenti».
Fondazione Moreni ha in serbo anche altri progetti?
«Sì, certo. Abbiamo deliberato di sostenere tirocini formativi per soggetti fragili presso le aziende cremonesi, così da assicurarne l’inserimento nel mondo del lavoro. Questo, perché vogliamo (...)».
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