Vive a New York dal 2001, ma conserva intatto il suo accento romano «come patrimonio dell’umanità», ammette sorridendo al telefono. Francesco Semprini, classe 1973, è corrispondente e inviato di guerra per La Stampa. Tra settembre e ottobre 2023 è stato diverse settimane in Donbass. «Io vivo questo mestiere come una responsabilità – dice – : essere gli occhi delle persone nei posti martoriati del mondo. Per dare il nostro contributo a renderli migliori, bisogna raccontarli». Francesco viene da una famiglia di militari, quindi qualche contaminazione nel sangue ce l’ha. Da ragazzo l’idea di fare il giornalista non lo sfiora. Nasce tutto, pur inconsapevolmente, in quel famoso 11 settembre. «Sentivo le notizie su Bloomberg News alla mia radiolina – in quel momento non ero a casa – e nel frattempo scrivevo appunti, fissavo pensieri». Prima di lavorare al quotidiano di Torino, è stato al Sole24ore.
Stai seguendo i lavori all’Onu, cosa dici della risoluzione sul cessate il fuoco a Gaza?
«È molto, molto debole. Innanzitutto perchè non è vincolante. Se Israele non la osserverà gli Usa hanno detto che non faranno nulla. Con l’appoggio dato a Netanyahu all’inizio del conflitto, Joe Biden ha perso i voti delle comunità arabe mussulmane d’America, ma soprattutto dei giovani, che mai come questa volta sono risultati sensibili alla causa palestinese. Adesso tenta di correggere il tiro, ma con scarsissimi risultati».
Guerra russo-ucraina: ci sono 100mila soldati Nato schierati ai confini tra Polonia e Ucraina. Quanto consideri probabile l’allargamento del conflitto?
«La Storia ci insegna che tutto è possibile, ma io sono molto prudente nel dipingere scenari di allargamento del conflitto a Paesi appartenente alla Nato. Putin è certamente un dittatore con ambizioni di ritorno agli antichi fasti della Russia, ma credo abbia ancora una minima lucidità per capire che un’aggressione a qualsivoglia Paese Nato avrebbe conseguenze devastanti. Dalle ultime notizie, la Nato sta mobilitando la Response Force, i corpi di risposta immediata ad eventuali aggressioni. È un altro elemento che serve soprattutto a scopo deterrente».
Esiste un legame tra Ucraina e Stato islamico, e quindi una connessione tra l’attentato al Crocus City Hall e la guerra con Kiev?
«Lo escludo. Conosco bene l’Isis, sono andato in tutti i luoghi in cui agiva. Questa è una nuova Isis, ma ugualmente si muove come la precedente: non fa mai, per sua natura, accordi con (...)».
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