da garante dell'europeismo
e dell'atlantismo
a guastatore?
Il sereno si alterna ai nuvoloni, gravidi di tensioni e fulmini politici. Uscendo dalla metafora meteorologica l’impressione è che il cammino non sarà dei più facili. Giovedì 20 ottobre, dopo l’inedito di due presidenti politicamente espressione della destra-destra che, per la prima volta, hanno partecipato alle consultazioni con il presidente della Repubblica nelle vesti della seconda e della terza carica dello Stato, si è avviata la partita istituzionale che condurrà alla formazione del governo di destracentro. Appunto, e inequivocabilmente, di destracentro, e non centrodestra (e, a confermarlo, basterebbe il modo in cui il patriarca Silvio Berlusconi ha dovuto cedere a Giorgia Meloni), insieme ai profili e alle biografie, come si diceva poc’anzi, di Ignazio (Benito) La Russa e Lorenzo Fontana. Gli audio dell’incontro del presidente di Forza Italia con i suoi parlamentari hanno movimentato ulteriormente uno scenario già piuttosto “mosso”, e mostrato di nuovo i pensieri pro-putiniani del Cavaliere sulla guerra in Ucraina. Con conseguente preoccupazione del Ppe, che si aggrappa ad Antonio Tajani, e relativo balletto di smentite dal partito per riassicurare tutti sulla propria fedeltà atlantista. E, naturalmente, con la correlata durissima risposta proveniente da Meloni, fino al punto – anche se non sarà ovviamente così – di rimettere in discussione la nascita dell’esecutivo.
La sortita berlusconiana, lungi dall’essere “una voce dal sen fuggita” (a essere fuoriuscito è stato l’audio, piuttosto...), ribadisce quelli che sono i convincimenti autentici dell’anziano patriarca del centrodestra oggi divenuto destracentro, e quindi pure bisognoso di non “sparire” dal centro della scena e dei giochi politici. E segnala la necessità di avere un ulteriore spazio di manovra e di contrattazione proprio contrariando la futura prima ministra. Di cui, però, come evidenziano questi stop and go (dopo le parole pesanti appuntate sul foglietto durante il giorno delle votazioni del presidente del Senato), a non essere accettata è la leadership stessa. Una questione di fondo che, se non risolta, si rivela destinata davvero a pesare sul futuro della legislatura. E, difatti, Fratelli d’Italia, è “corso ai ripari” anche “girando” tre senatori a Maurizio Lupi per poter costituire il gruppo Maie-Noi moderati-Civici d’Italia, che ha tutta l’aria di rappresentare un contenitore destinato ad accogliere eventuali prossimi transfughi dal partito berlusconiano, percorso da spinte centrifughe sempre più marcate...
Massimiliano Panarari
Professore associato di Sociologia
della comunicazione Università Mercatorum
di Roma e docente di Marketing politico
alla Luiss School of Government
© Riproduzione riservata
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