L’introduzione obbligatoria del Green pass in tutti i luoghi di lavoro a partire dal 15 ottobre sta suscitando reazioni importanti in diversi ambiti lavorativi, soprattutto per gli aspetti organizzativi legati ai controlli (sono previste sanzioni molto pesanti sia a carico del lavoratore che a carico del datore di lavoro). Un aspetto cruciale, anche in ragione del fatto che, ad oggi, nonostante l’ottima progressione della campagna vaccinale (Cremona risulta fra le province più virtuose d’Italia, Paese che a sua volta risulta fra i migliori a livello europeo), sono ancora molti i cittadini/lavoratori non vaccinati. A livello nazionale, secondo quanto pubblicato dal <+S CORSIVO>Sole 24 Ore<+S TONDO>, si stima un 60 per cento di lavoratori senza copertura nel comparto sicurezza, un terzo nell’agricoltura, il 50 per cento nel settore colf e badanti, fra il 10 e il 20 per cento nel trasporto pubblico e il 30 per cento nella logistica e nei trasporti. Numeri significativi, che rischiano di bloccare il sistema-Paese dato che tutte queste persone, in attesa del vaccino, dovranno necessariamente passare dal tampone per poter ottenere il “lasciapassare”. Di questa situazione, del tutto inedita, abbiamo discusso con il professor Pietro Ichino, giuslavorista, uno dei massimi esperti in Italia di queste materie.
Professor Ichino, dal 15 ottobre entra in vigore l’obbligo di esibire il Green pass in tutti i luoghi di lavoro. È una norma che non ha precedenti nel nostro Paese e che anche all’estero ha pochi termini di paragone. Un suo giudizio preliminare come cittadino, prima ancora che come giuslavorista: è d’accordo?
«Fin dall’anno scorso ho sostenuto la necessità dell’adozione di questa misura non appena le dosi di vaccino necessarie fossero state disponibili per tutti. Di più: ho sostenuto che diverse norme legislative già vigenti legittimerebbero i datori di lavoro ad adottare questa misura anche in assenza del decreto-legge che la ha introdotta esplicitamente»...
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