“Le operazioni di chirurgia si imparano con gli occhi e con le mani”: sentenziava così, nel Cinquecento, Ambroise Paré, medico e chirurgo francese, considerato il padre dell’ortopedia moderna. Era il chirurgo del Re di Francia Enrico II, di Caterina de’ Medici e dei loro quattro figli. I suoi studi sulle fratture, lussazioni e fasciature rappresentarono le migliori opere trattanti questa materia, a partire dall’antichità classica. Era definito “uomo della pratica”. È proprio il pragmatismo la qualità che ha colpito e guidato le scelte di Dario Abruzzi, giovane medico cremonese aspirante ortopedico: dal giugno dell’anno scorso è Medico tirocinante nel reparto di Clinica Riabilitativa di Cremona Solidale.
Dottor Abruzzi, da dove nasce la sua passione l’Ortopedia?
Ho sempre stimato l’attività di mio padre, neurologo. Gran parte della sua vita è stata dedicata ai malati di Parkinson, la cui qualità di vita è aumentata progressivamente nell’arco degli ultimi decenni. L’ultimo stadio di questa malattia, però, rappresenta ancora una zona invalicabile, oltre la quale non si può andare. Rimane una soglia inaccessibile, anche per la medicina più sofisticata. In virtù di questo esempio, ho partecipato al suo impegno in maniera simpatetica; così intensamente che, una volta avvicinatomi all’Università, ho scelto una medicina ancora più ‘diretta’. Il chirurgo interviene – letteralmente – con le mani, attraverso la modalità meno mediata possibile. Il mio desiderio, quindi, è quello di correggere e risolvere i problemi del paziente, lasciando alla farmacologia un ruolo non predominante. Un altro stimolo che ha indirizzato il mio interesse per l’ortopedia è stato, ancora una volta, di natura pratica: durante il quarto anno di studi ho fatto un tirocinio in un ospedale di Bucarest tramite l’organizzazione della Federazione Internazionale delle Associazioni di Studenti in Medicina. In quel reparto ho avuto modo di conoscere e apprezzare meglio l’argomento....
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