anche a tavola: i consigli
di Edoardo Raspelli
Paese che vai, sapore che trovi. Anche a tavola. Per orientarci con cognizione di causa tra le decine di cucine etniche che in Italia stanno proliferando, abbiamo chiesto lo spunto di Edoardo Raspelli, milanese, classe 1949, considerato tra i più grandi gastronomi italiani di oggi.
Come dobbiamo considerare l'approdo e l'espansione della cucina etnica in Italia?
«Il discorso rischia di diventare politico. Personalmente sono assolutamente aperto all'arrivo di nuove culture gastronomiche. D'altronde il “made in Italy” trionfa in tutto il mondo, basta girare per le strade di New York per vedere ovunque ristoranti, pizzerie e prodotti tricolori, e per noi tutto ciò è un grande orgoglio: sarebbe ingiusto, dunque, che proprio a casa nostra venisse contrastato chi cerca di esportare la propria cucina».
Questo per quanto riguarda i prodotti o i ristoranti?
«Direi entrambi. I prodotti in particolar modo, visto che gran parte della cucina italiana si basa proprio su materie prime provenienti da Paesi lontani. Basta pensare alla pizza: il pomodoro è arrivato dall'America solamente alla fine del '500, eppure è un ingrediente fondamentale del nostro piatto simbolo. La stessa cosa vale per il riso, importato dall'oriente. Nel resto del mondo è considerato solamente un contorno, da noi è stato completamente reinventato nel risotto. E al contrario il couscous, che è fondamentale nella cucina araba, si trova anche in Sicilia».
I ristoranti, invece?
«In questo caso la faccenda è differente. Purtroppo molte volte il locale etnico diventa una scelta di ripiego, un modo per mangiare a basso costo che non ha nulla a che fare con lo spirito autentico delle cucine estere. Con le dovute eccezioni, ovviamente: per esempio, conosco un ristorante magrebino a Milano, nella zona di Porta Romana, che apprezzo moltissimo».
Lei mangia spesso nei locali etnici in Italia?
«A dire il vero no, preferisco di gran lunga provare le cucine etniche direttamente nel Paese di appartenenza. Una volta, per esempio, sono stato chiamato a Hong Kong per fare il giurato in una competizione culinaria. Ne ho approfittato per provare i ristoranti del posto, e ho gustato piatti davvero incredibili».
GLI SPUNTI DEI RAGAZZI – Preferisce il cibo nostrano Michela Goiza, 28 anni, di Pizzighettone: «La cucina italiana per me è da sempre la migliore, adoro i piatti tradizionali, come pasta, lasagne e pizza, ma anche i dolci tipici. La nostra cucina si differenzia dalle altre per il suo gusto ricco e unico, che rimanda ai sapori caserecci e al calore dell’atmosfera casalinga».
Miriam Diana, 26 anni, di Crema è vegetariana: «Amo mangiar sano in generale. Se potessi vivrei di verdure, soprattutto se biologiche, in famiglia siamo abituati così. Sono alimenti che non piacciono a tutti perché hanno gusti più “grezzi”, per questo di solito li addolcisco con salse o condimenti da combinare. La consiglierei perché è sana, non ha problemi di digestione, la carne può esser sostituita da altri alimenti proteici come le uova o il pesce. L'unico problema è che è difficile da preparare, serve tempo e una certa capacità, anche se è una bella abitudine da mantenere».
«Mi piace assaporare la cucina araba – spiega Annalisa Carrara, 27 anni, di Cicognolo – perché è nelle mie corde provare cibi provenienti da culture diverse, anche che abbiano sapori differenti dalla cucina italiana. E’ molto buono il piatto in cui alla carne si uniscono anche il riso e le verdure».
Guido Arisi, 28 anni, di Cicognolo è invece più incline alla carne: «Mi piace la cucina brasiliana perché la carne allo spiedo ha un gusto particolare e per il fatto che si possano gustare parti diverse dell’animale. I piatti che accompagnano il churrasco sono accostamenti di ingredienti per noi insoliti e quindi tutti da provare».
Maria Laura Ventura, 24 anni, di Crema ha invece un debole per la cucina giapponese, ma la sua infatuazione non è stata un colpo di fulmine: «Il cibo giapponese l'ho scoperto due volte. La prima andando a mangiare a Milano con un gruppo di amici appassionati di Giappone, e non mi era piaciuto per nulla: il sushi mi sembrava insipido e non riuscivo a capire cosa ci fosse di così buono in un po' di pesce crudo. Poi sono stata in Giappone tre mesi e lì me ne sono innamorata! Anche se mi piace il sushi, il mio piatto preferito sono gli Udon, spaghetti giapponesi immersi nel brodo di verdura. Mangio giapponese in media una volta ogni dieci giorni, ne approfitto al lavoro, a Milano, quando prendo il menù in modo da spendere meno. Quando lo mangio la sera al ristorante invece vuol dire che sto festeggiando qualcosa: solitamente è una partenza o un arrivo di un amico da lontano! E' un ottimo modo per mangiare insieme agli amici qualcosa di un po' diverso dalla solita pizza». Padre Ricardo Castillo, 48 anni, residente a Crema ma messicano d'origine, ovviamente ha una predilezione per la propria cucina d'origine: «E’ importante condividere le culture, anche attraverso la cucina. Sicuramente la cucina messicana va adattata al gusto italiano soprattutto per piatti piccanti, qui non apprezzati come in Messico, anche se in genere agli italiani piacciono. Io preferisco i tacos nella loro grandissima varietà. In parrocchia normalmente cuciniamo italiano, perché mancano i prodotti tipici della nostra cucina, ma ogni tanto viene la nostalgia di casa... allora organizziamo una cena messicana, soprattutto in occasione di ritrovi con la comunità di Padri messicani milanese, oppure per feste a tema in parrocchia».
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