Nel Paese delle mille città è una specie di mission impossible in apparenza. Anche se “uno su mille” ce la fa e, per la verità, si tratta di numeri più consistenti e di una direzione di marcia che la strutturale penuria di risorse di tanti enti locali da qualche tempo suggerisce caldamente. Si ritorna a discutere intensamente nel cremonese del tema della fusione e dell’unione di Comuni (ovvero «ente locale costituito da due o più Comuni finalizzato all’esercizio associato di funzioni e servizi», come disciplinato da una serie di nromative). E se ne dibatte a partire da difficoltà e fallimenti, come il naufragio del tentativo di fusione tra San Daniele Po e Pieve d’Olmi, a conferma della difficoltà che questi tentativi di razionalizzazione incontrano in una provincia, quale quella di Cremona, caratterizzata dalla presenza di 113 Comuni, in buona parte contraddistinti da un numero di abitanti inferiore ai 2mila.
Ma perché risulta così difficile approdare all’Unione di Comuni? Guardando a esempi vicini al territorio cremonese, per contro, varie realtà dell’Emilia-Romagna mostrano come (seppur in maniera non precisamente “indolore” né particolarmente rapida) i risultati possano essere (...)
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