Ogni volta che può, si infila nei boschi attorno a casa per lavorare la terra. «È una preghiera, per me», dice Johnny Dotti. Bergamasco, 60 anni, nato da due genitori migranti: il papà era minatore, la mamma barista. Hanno vissuto per anni in Australia, in condizioni durissime. Rientrano a Bergamo e Johnny viene alla luce. È il 1963 e il suo nome lo deve ad un mito di suo padre, John Kennedy, assassinato proprio quell’anno. In terza liceo, Johnny abbandona la scuola e finisce in orfanotrofio; fa l’obiettore di coscienza e lì riprende a studiare da privatista, diplomandosi. Si tuffa nella vita a velocità impressionante, trascorre un lungo periodo con i terremotati dell’Irpinia e vive tante altre «esperienze comunitarie». Che continuano oggi: con la moglie Monica e i quattro figli abita in un’unica, bella casa in provincia di Bergamo con altre famiglie. È un luogo di ospitalità aperto al bisogno di chiunque. «Tutti mi danno del matto – dice Johnny – ma credo che la nostra sia una scelta “tradizionale”. La famiglia cristiana non può non essera aperta: nella dimensione dei figli, in prima istanza, che io non distinguo in biologici o non biologici, per me sono figli e basta. E nella dimensione della comunità. Nella tradizione cristiana, ogni famiglia aveva un letto a disposizione per gli ospiti. L’ospitalità è segno di Dio».
Il suo stile di vita, insieme al lavoro da pedagogista e da imprenditore sociale, sono lo scalpello con cui Dotti prova a dar forma «a un’esistenza che sta dentro un senso di Mistero». Oggi, invece, «l’ossessione del sistema è funzionare». E funzioni se produci e consumi. In questa lotta per l’esistenza, educare è prezioso, purché non lo si riduca ad un rapporto specialistico: fare corsi, prendere lauree. Per Dotti educare è «accompagnare il venire al mondo del mistero dell’altro». E questo accompagnare è possibile che accada, per noi adulti, a qualunque età. «Si può generare da anziani? Ma certo! Giovanni XXIII, bergamasco pure lui, a 78 anni ha tirato fuori una cosa come il Concilio Vaticano II. Beethoven ha scritto le cose più geniali dopo i 65 anni, e da sordo. Gandhi ha compiuto il gesto politico più rivoluzionario del Novecento (la marcia del sale, nda) a 78 anni. L’educazione ha bisogno di gesti così, anche più piccoli, micro. Pensate se nei paesi si ricomincasse a prendere in casa i figli degli altri».
A proposito di figli e del loro “funzionare”. In alcuni quartieri di Cremona si registrano da settimane scorribande serali e notture, vandalismi, insulti ai passanti, sterco lanciato sui balconi delle case. Gli autori sono ragazzini di 14 e 16 anni. Come si sta davanti a questi fatti? Soprattutto, come si sta davanti a questi ragazzi?
«Avendo tolto qualsiasi rito iniziatico legato al senso, non ci resta che una trasgressione senza senso. La trasgressione in sé contiene sempre un elemento provocatorio e di rischio, anche positivo. Ma la trasgressione slegata dal senso delle cose produce violenza. Anche dalle mie parti ci sono ragazzini che quando si trovano hanno bisogno di bere superalcolici. Di giorno fanno gli educatori al Cre (Centro Ricreativo Estivo), alle sera bevono shottini di grappa. Sono trasgressioni che dovrebbero far chiedere, a noi adulti: dove stiamo andando?».
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