Non ciò che il lavoratore avrà in più, ma quello che rischia, seriamente, di perdere per strada. È un monito chiaro quello arriva da Emmanuele Massagli: il salario minimo sarà un boomerang per chi ne dovrebbe beneficiare – e, forse, lo invoca con meno foga di una certa parte politica. Insegnante alla Lumsa di Roma e alle Università di Modena e Reggio Emilia, presidente dell’associazione Adapt, fondata nel 2000 da Marco Biagi per “promuovere studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e del lavoro”, Massagli ha 40 anni e mastica questi temi da sempre. Su “salario minimo sì-no” non ha dubbi su dove schierarsi.
«La proposta di legge delle opposizioni, almeno così come l’abbiamo letta dal testo depositato, ha più una valenza politica che tecnica. Ieri (lunedì scorso per chi legge, ndr) ero a Sky Tg, dove una indagine di YouTrend dava il 75% degli italiani favorevoli al salario minimo. E’ logico. Peccato che stiano raccontando una proposta che non ha nessun effetto sulla stragrande maggioranza dei lavoratori, tranne 700/800mila che potrebbero vedersi alzato ope legis il minimo».
E non è positivo, anche se interessa “pochi” lavoratori?
«Nei settori particolarmente poveri è indubbio che sia ingiusto pagare i lavoratori sotto la soglia dei 9 euro lordi. Ma in quei settori, proprio per mancanza di risorse, la contrattazione costruisce misure di welfare o di flessibilità organizzativa che sono un vantaggio concreto per il lavoratore e che rischiano di venir meno se uno dei fattori della contrattazione, quello del minimo tabellare, fosse imposto per legge».
Perche?
«Quello che nessuno dei proponenti la legge calcola è: quanto si perde, degli altri vantaggi che si ottengono nel Contratto collettivo, se si impone nel Contratto stesso un costo stabilito per legge? Sto parlando di tutte le altre tutele come la flessibilità oraria, le mensilità aggiuntive, le indennità, il welfare aziendale, i permessi. Che sono esiti importantissimi del percorso di contrattazione, dove tutto è uno scambio, non solo il tabellare».
Come si vince, allora, la guerra al lavoro povero?
«Intanto dobbiamo intenderci su ciò che determina la povertà di un lavoro. Le opposizioni dicono: se alziamo a 9 euro lordi contrastiamo il lavoro povero, ma i dati Istat e quelli del ministero del Lavoro legati alle COB, ci dicono che il problema del lavoro povero sta nella sua qualità non innanzitutto nel salario orario».
Mi fa un esempio?
«Anche più di uno. Se un’azienda persiste nel promuovere i tirocini extracurriculari per sopperire alle esigenze di manodopera, si può ben introdurre il salario minimo, ma il problema della povertà del lavoro non si risolve, perché il tirocinio non è un contratto, quindi non è toccato da questa introduzione. Lo stesso vale per (...)».
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