Lui è una sorta di monumento a ciò che la vita è nella sua essenza: darsi al prossimo. Instancabilmente. In pensione, uno così, ci va solo sulla carta. Dall’ottobre scorso Alberto Rigolli non è più dipendente pubblico per raggiunto ingresso nella Previdenza. Ginecologo da quando aveva 25 anni, oggi, all’alba dei 62, padre di quattro figli e nonno di altrettanti nipoti, prosegue la sua spola dall’Italia all’Africa in collaborazione col Cuamm (Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari). Nel continente africano ci ha già trascorso quasi otto anni, lavorando a trasferire conoscenze e prassi sanitarie al personale medico locale e a tantissimi giovani specializzandi che arrivano dalle università italiane. Se gli chiedi: perché proprio l’Africa, Rigolli sorride. «Ho scelto la facoltà di Ginecologia apposta per andare là. Lo sa che in Sierra Leone ci sono dieci milioni di abitanti e 250 medici?». Un mondo lontanissimo, inimmaginabile. Un pianeta che ragiona all’inverso del nostro: là, dove molto è ostile alla vita, le donne hanno in media sei o sette figli. Qui, dove l’assistenza vanta livelli altissimi, dove ci sono eccellenti università, dove si può sognare una carriera da manager e una casa di proprietà con auto e garage, la media non raggiunge i due, di figli.
«E’ una tendenza non solo italiana, ma dei paesi occidentali – dice Rigolli –. Questo dovrebbe far pensare».
C’entra un aspetto culturale, dice?
«È evidente. Quando si afferma: “Siccome c’è sempre più povertà, siccome non ci sono i servizi, i sussidi sono insufficienti e gli accessi agli asili limitati, allora la gente fa meno figli”, io non concordo. L’accoglienza della vita è un’accoglienza di cuore, una dimensione innata nella persona».
Solo che abbiamo alzato il livello di aspettativa…
«Tenga conto di questo paradosso: quando i figli non arrivano, le coppie fanno i salti mortali e anche di più per soddisfare un legittimo desiderio, con investimenti economici anche importanti, il che significa che nella persona c’è qualcosa di innato, un’aspettativa profondamente umana – l’essere genitori – che non è per niente frenata da limiti contingenti, anzi».
(...)
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