«C’è da augurarsi che questo 25 novembre, giornata che vuole combattere la violenza contro le donne, non si riduca ad una semplice ricorrenza. Il problema non è di poco conto e chiama in causa diversi attori…». Anna Di Martino è giunta 4 anni fa a Cremona, nominata presidente del tribunale a coronamento di una lunga carriera in Magistratura trascorsa interamente a Brescia. Quando Giorgia Meloni ha dichiarato: sono il presidente del Consiglio e non la presidente, in Tribunale ci si è ricordati che, prima di lei, un’altra donna si sottoscriveva il presidente. «In effetti- dice il magistrato – ritengo che la dizione più corretta sia: il presidente. Infatti, che sia una donna, lo si arguisce dalla firma con nome femminile. La mia rivendicazione, però, parte da più lontano. Non sopporto che si chiami dottoressa un avvocato donna ovvero una donna giudice. Chissà perché il maschio è sempre designato avvocato o giudice e mai dottore. Questo è l’aspetto che più mi interessa. Quando mi chiamano “signora presidente” ci passo sopra, ci sono cose più importanti di cui preoccuparsi».
Perché il 25 novembre non sia una mera celebrazione occorrono tante azioni a più livelli…
«La violenza di genere non è un tema facile da affrontare, richiedendo una serie di collaborazioni da mettere assieme. La prima questione è culturale e affonda nella società civile: riguarda l’educazione che in famiglia si dà ai maschi. L’educazione al rispetto della figura femminile dovrebbe essere somministrata prima di tutto in famiglia. Poi c’è la scuola e tutta l’istruzione successiva. Famiglia e scuola devono svolgere una funzione di prevenzione. (...)».
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