Venditori di aromi, spezie e preparazioni derivate: originariamente detti “aromatari”, tra fine Trecento e inizi Quattrocento erano sempre più spesso indicati col nome di “speziali” ai quali, nel contempo, si andava anche affiancando la figura del futuro “fondeghero”. Attorno alla prima metà dell’Ottocento il termine ‘speziale’ fu gradualmente sostituito da quello più tecnico di ‘farmacista’ mentre, parallelamente all’evolversi della denominazione, si andava progressivamente attenuando, per poi quasi sparire, il richiamo agli aromi e alle erbe curative per lunghi secoli base di ogni medicamento, a partire dalle bibliche “foglie” da usare “come medicina” viste fiorire dal profeta Ezechiele sulle sponde del fiume d’acqua risanatrice sgorgata dalla soglia dal sacro tempio di Dio.
Nella Cremona del Secolo XVI si possono configurare due diverse tipologie di aromatari: quella degli abilitati a vendere anche medicinali e quella di coloro che, privi di idonea qualificazione, dovevano limitarsi alla vendita delle spezie per uso comune.
Da un prontuario del XVII Secolo al titolo “Tassa Universale de Preci delle robbe medicinali così semplici come composte che si ritrovano nelle Spetiarie della Città di Cremona”, conservato nella locale Biblioteca Statale possiamo infatti ricavare precise indicazioni sui prodotti all’epoca presenti nelle botteghe degli speziali e precisamente: “Semplici diversi, erbe, sementi, fiori, radici, acque stilate, stilationi diverse, decottioni de infusioni, elettuari di tutte le sorti, lohochi et lambitivi, conserve condite in zuccaro (in mele e cotognate diverse) zuccari, confettioni solide di ogni sorte, spetie aromatiche, polveri, siroppi et giuleppi, succhi condensati e liquidi, pillole, trochisci, unguenti, cerotti, empiastri, olii, grassi, medicamenti diversi”.
A Cremona il numero degli speziali, fra quelli abilitati o meno alla vendita anche di medicinali, sembra fosse quantitativamente abbastanza ragguardevole: nel 1530, anno di avvio della matricola, il primo gruppo di iscritti all’arte per mano del notaio Giovan Francesco Trovanis, sembra aggirarsi sulla quarantina. Alla fine del 1631 si erano ridotti a 24, ma occorre osservare come gli speziali fossero riusciti ad uscire dalla grande pestilenza dell’anno precedente con danni inferiori rispetto ad altre arti più duramente colpite dal contagio al punto da trovarsi ridotte, fra morti ed emigrati, a meno della metà: evidentemente la conoscenza nonché la tempestiva disponibilità dei medicamenti dovette avere un certo effetto positivo. A metà del Settecento si contavano 11 spezierie che servivano una popolazione di poco superiore alle ventimila persone.
Come fosse il loro aspetto possiamo verificarlo ancora oggi osservando i mobili originali conservati negli uffici dell’Apt sotto i portici del palazzo comunale di Cremona, composti nel 1789 dall’ebanista cremonese Paolo Moschini, nato a Soncino, che ideò per la farmacia una lavorazione particolare del legno di radica, “a dorso di tartaruga”. Un’altra storica farmacia che conserva ancora il mobilio e le suppellettili originarie del Settecento, secolo in cui venne aperta dalla famiglia Leggeri, è la farmacia che si trova in corso Matteotti. Quest’ultima conserva ancora l’antico campionario delle sostanze di provenienza esotica con cui venivano realizzate le resine utilizzate dai liutai per fabbricare le vernici dei violini.
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