Il contenitore è un’anonima scatola quadrata depositata in magazzino. Anche la sigla non dice nulla ai non esperti: ms. 258. Poi ci si accorge che nella parte inferiore c’è un fermo che impedisce al contenuto di spostarsi. Si apre la scatola ed appare un rotolo avvolto su un supporto di cartone. Srotolarlo provoca un’emozione: la pergamena svela lentamente le centinaia di immagini dipinte, la raffinata scrittura, le figurette che la animano in ogni parte. Un rotolo di quasi sei metri interamente dipinto che racconta la storia dell’umanità, dal momento della creazione alla passione di Cristo.
Laura Carlino, che l’ha studiato una ventina d’anni fa, la ricorda come “un’esperienza esaltante”. Ne è uscito nel 1997 un volume edito dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, poi, così come è affiorato, il prezioso manoscritto è tornato nei depositi della Biblioteca Statale dove è tuttora conservato. La definizione di “tesoro” non è in questo caso fuori luogo. Il manoscritto è lungo sei metri ed è formato da una decina di pergamene incollate fra di loro. La decorazione è ricchissima: 57 iniziali miniate di cui 46 interamente decorate e 11 figurate, con oltre seicento miniature racchiuse in medaglioni con un diametro compreso tra i 35 e i 150 millimetri. A scoprirlo in mezzo a tante altre carte di vario genere accumulate in un deposito della Biblioteca è stata all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, la direttrice Rita Barbisotti. Ma come sia finito lì è un mistero che neppure la Carlino è riuscita negli anni scorsi a chiarire del tutto.
Il prezioso rotolo fu mostrato al pubblico per la prima volta nel 1953 nel corso della mostra storica di palazzo Venezia, ma senza alcuna segnatura che lo identificasse. La prima menzione risale al 1885. E qui è curioso notare come la vicenda del rotolo intersechi quella di un altra raccolta preziosa, quella delle ottanta acqueforti di Rembrandt di cui ci siamo occupati le scorse settimane. Nella bozza di una convenzione tra la Biblioteca e il Museo Civico, poi effettivamente ratificata in una delibera comunale del 24 novembre 1885, si stabilisce che quest’ultimo avrebbe dovuto cedere le collezioni di manoscritti che vi erano confluite con attenzione al loro valore documentario piuttosto che a quello estetico e artistico, mentre di contro la Biblioteca avrebbe dovuto consegnare al Museo la collezione dell’abate Luigi Bellò comprendente i Rembrandt, tre codici miniati e il rotolo, che però, a quanto sembra, fu invece trattenuto. Infatti, quando nel 1946 il direttore della Biblioteca, Stelio Bassi, contratta con quello del Museo, Alfredo Puerari, la consegna alla Biblioteca dei codici rimasti ancora in museo accenna in una lettera anche alla possibilità di riavere le incisioni e i tre manoscritti, ma non parla del rotolo. Laura Carlino riferisce anche i ricordi del professor Ugo Gualazzini che avrebbe osservato il rotolo esposto in museo insieme con il professor Puerari negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale e di averlo ammirato a lungo.
La questione è impossibile da dirimere, come è difficile da ricostruire la sua stessa storia. Il rotolo presenta due stemmi e un cimiero dipinti in rosso e argento che potrebbero indicare l’appartenenza ai marchesi del Monferrato. Gli stemmi sono rappresentati da due scudi d’argento in capo di rosso aggiunti alle miniature di Alessandro Magno e di Giuda Maccabeo. Il cimiero, in fondo all’ultima pergamena, è costituito da una targa d’argento in capo di rosso sormontata da un elmo da torneo d’argento di profilo. Difficile dire se gli stemmi siano stati dipinti contemporaneamente alla stesura del manoscritto oppure siano stati apposti in seguito, indicando semplicemente un passaggio di proprietà e non una committenza.
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