"Il contadino che portò il ciclsimo nello spazio"
"Record. Come un seme nella terra questa parola è rimasta sepolta centro di me per tutto questo tempo". Non è una metafora. Ricordando e raccontando le sensazioni è letteralmente le visioni che hanno scorso il suo corpo teso verso il record dell'ora, Francesco Moser ritrova forte il legame naturale con le proprie origini.
"Il centro del mio mondo è in Trentino, a Palù di Giovo in Val di Cembra, dove sono nato, forse l'unico paese al mondo a poter vantare quattro maglie rosa".
La montagna, la campagna, i numeri e l'ossessione per le vittorie per i record. Nelle pagine di "Ho osato vincere" (edizioni Mondadori), la biografia del più vincente ciclista italiano di tutti i tempi scritta con Davide Mosca, è racchiusa non soltanto la storia di un atleta, il racconto dei suoi tanti, tantissimi successi (e pure di qualche caduta), ma è svelata la storia di un uomo che ha costruito il suo mito con la forza delle gambe e della volontà.
Nella parola "record - osserva Moser - sono contenute altre tre parole: "Re", come viene chiamato chi vince per tre volte la Parigi-Roubaix, la regina delle classiche, "Oro" come le medaglie mondiali e "Cor", il cuore' "l'unica cosa che resta, perché c'era prima che salissi in bicicletta e ci sarà dopo. Nessuno lo può battere".
Il cuore forgiato sulle Alpi trentine, in una famiglia povera e numerosa dov'è tutti facevano la propria parte, come aveva insegnato il padre di Francesco, grande lavoratore, scomparso quando il futuro campione era poco più di un bambino. "A quell'etá per me non ci sono solo giochi e avventura, perché c'è da lavorare sodo". Allora Francesco, mentre i fratelli più grandi già collezionavano vittorie in sella ad una bicicletta, si prese la responsabilità della terra, della sua terra. Quando Bartolozzi, direttore della Filotex, si presenta alla Made del ragazzo promettendo che ne farà un grande campione, la donna, saggia e dolce, ma anche pratica è diretta, risponde dubbiosa: "Sarà, ma intanto mi porta via un grande contadino".
Se ne ricorda sempre Moser, oggi imprenditore, produttore di vini (il fiore all'occhiello dell'azienda è il 51,515, i numeri del record dell'ora dati al suo spumante) e di telai di bicicletta, anche quando entra nella storia del ciclismo battendo il record "insuperabile" di Eddie Merckx a Città del Messico: "A portare il ciclismo nello spazio è stato un contadino".
La storia di Francesco Moser è la storia di un uomo e di un atleta che ama le sfide, che non teme la fatica e il sacrificio, che corre per vincere i grandi duelli, si esalta quando l'impresa sembra impossibile, si batte per rovesciare pronostici e facili previsioni, se necessario anche con se stesso, per un'ora o per tutta la vita: "correre per un'ora con se stessi e contro nessuno".
Ma la storia del grande ciclista e anche una storia di passione autentica, di un "grande amore per la bicicletta cominciato con un bacio, alla ghiaia" è diventato professione a 18 anni, troppo tardi - dicono in molti - per entrare da protagonista nel mondo delle corse. Così come troppi sembrano i trentatré anni quando nel 1984 Moser sferra il suo attacco al record dell'ora di Eddy Merckx: "Dire a un uomo che ha trentatré anni significa avvertirlo - scrive - è l'età cruciale. Dirlo a un ciclista significa minacciarlo". Ma quando esplode il colpo di pistola del via le parole non contano: "Qualche colpo di pedale e sono nel vento. Chiudo il primo giro il 29 secondi contro i 26 di Merckx. Sono in ritardo. Ho tutta la vita per recuperare, ossia soltanto un'ora".
Non importa che l'avversario sia un sasso, la salita, un crampo, quello che tutti chiamano "Il Cannibale" oppure la fatica che acceca gli occhi e straccia i muscoli. L'importante per Francesco Moser è sempre stata la reazione. A volte di testa, molto più spesso di cuore. "Cadi nove volte, rialzati i dieci". Solo così si possono vincere Mondiali su pista e su strada, grandi corse a tappe, tre Parigi-Rubaix e un Giro d'Italia, solo così si battono i record. "Conconi - ricorda Moser nella biografia raccontando il secondo record dell'ora al livello del mare - in preda al delirio dichiara che sono il più grande atleta che abbia mai conosciuto. In realtà sono soltanto un uomo con una grande voglia di dimostrare che ogni vetta è fatta per essere raggiunta, ogni primato superato, ogni impegno rispettato".
Solo così, scrivendo la storia della propria vita, si può dire "ho vinto spesso, qualche volta ho perso, non ho mai partecipato". È una corsa, da affrontare sempre pedalando al massimo, "un giro alla volta, la vita come il record dell'ora".
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