quotidianità e senso dell’accoglienza
coinvolgendo i cittadini»
Parlare di cultura e del suo rapporto con la città costituisce oggi per me occasione per condividere argomentazioni e riflessioni; in particolare, chi come la sottoscritta, si occupa da molto tempo di cultura, attività culturali e turismo in un Ente pubblico, è certamente in una condizione privilegiata per il punto di vista che questa concede, ma al tempo stesso l’appartenenza istituzionale pubblica, personalmente molto sentita, comporta l’inevitabile e difficile responsabilità di agire verso e per gli altri. Nell’esprimere il mio parere, cercherò, quindi, di unire all’esperienza maturata in questo ambito il punto di vista del cittadino che ha a cuore la propria città.
Parto da una premessa inevitabile, non si può affrontare il tema della cultura e del suo apporto sociale prescindendo dalla situazione nazionale ed internazionale: ovunque, in maniera più o meno forte, si erge il lamento per una situazione economica molto difficoltosa e profonda è la tentazione – ingannevole – di ravvisare la necessità, tra le diverse scelte, di “sacrificare” la cultura…in virtù di presupposti diversissimi, individuati a volte sulla base della contingenza, a volte della conoscenza, altre ancora della impreparazione o di una visione estremamente rigida del contesto. Sempre più frequentemente viene portato a difesa dei mancati investimenti il fatto che la cultura, come altri servizi più o meno correlati, non risulta essere prioritaria fra i compiti istituzionali degli Enti locali. L’ambiguità di questa interpretazione deve essere assolutamente risolta poiché, se è vero che tale dichiarazione esiste in alcune fonti normative, è pur vero che molti Enti locali, tra cui il Comune di Cremona, hanno dichiarato fra le proprie competenze quella di “rendere effettivo il diritto alla cultura, allo studio, …” superando così quel livello di discrezionalità che spesso viene anteposto ad ogni forma di trasmissione culturale, penalizzando di conseguenza luoghi ed Istituzioni che per loro natura, devono offrire e proporre cultura.
Sembra quasi di rilevare un atteggiamento di trascuratezza nell’interrogarsi su ciò che rappresenta la cultura: non solo identità acquisita, ma, senza naturalmente togliere nulla a ciò che siamo stati, apertura, possibilità verso una identità che è inevitabilmente in divenire, che potrà avere tratti e caratteristiche diverse, e ciò a seconda degli strumenti che avrà a disposizione.
Fortunatamente sembra che qualcosa stia cambiando: il Ministero per i beni e le attività culturali e la stessa Regione Lombardia, dopo un silenzio troppo lungo, hanno riservato alle istituzioni (musei e biblioteche, siti archeologici, complessi monumentali) fondi per la gestione; il che, in altre parole, significa per la conservazione del patrimonio, per la ricerca, per la promozione, sospendendo per ora l’erogazione di sostegni alle cosiddette e numerose “attività”. C’è in effetti un’emergenza: la salvaguardia della sopravvivenza istituzionale per una necessità più volte ribadita, ”cultura potenzialmente per tutti”. Credo che lodevolmente si debbano interpretare queste scelte come un giusto riconoscimento al ruolo di quelle realtà, soprattutto pubbliche, che hanno il compito fondamentale di “mettersi a disposizione” per creare e proporre cultura. In altri termini, prima di tutto, salvaguardare l’obbligo cui nessuna istituzione culturale pubblica può abdicare, quello di essere propositiva – nei diversi ambiti e livelli di competenza – all’interno della propria comunità.
Dunque è necessario fornire le sufficienti garanzie per far sì che il patrimonio pubblico (museale, bibliotecario, archivistico o architettonico che sia) rientri nella consapevolezza di tutti ossia nella possibilità di accesso per tutti. E qui, sebbene sembri interessare a pochi, non si può trascurare l’aspetto dell’accoglienza, dentro e fuori i luoghi di cultura. Questo aspetto è importantissimo poiché se si vuole che il visitatore si trovi bene in un museo e voglia tornarvi sono necessari innanzitutto buoni contenuti, allestimenti adeguati, percorsi ben spiegati, ma anche comfort, professionalità ad ogni livello, qualità nella gestione dei cosiddetti “servizi aggiuntivi”; quei servizi che, oggi, spesso per atteggiamenti di puro dilettantismo, le Istituzioni culturali sono invece costrette a gestire senza mezzi e professionalità adeguati. Tuttavia, nell’ approfondire questo aspetto si rimane sorpresi nel constatare come allo stesso tempo, a volte incomprensibilmente, da un lato si crei mentre dall’altro si distrugge, senza poter trovare le motivazioni di tale comportamento, che certamente non sottende una visione complessiva della situazione, in particolare allorquando non possa essere valida neppure la ragione economica.
Altrettanto importante è ciò che sta “fuori” dall'Istituzione (museo, biblioteca o archivio che sia): possibilità di raggiungere senza difficoltà la città, accoglienza durante il soggiorno, buone condizioni di ospitalità. Insomma, occorrerebbe essere in grado di offrire un “benvenuto” migliore. Ma ancora prima dovremmo saper creare per noi stessi, poiché noi per primi dobbiamo essere fruitori culturali e turisti della nostra città, un clima di compattezza sostenuto dalla comune volontà e fiducia nelle nostre potenzialità.
Basterebbe dunque partire da qui, fermarsi un attimo e… quasi ricominciare da capo. È ovvio che siamo giunti ad un punto in cui è necessario ridefinire alcuni strumenti istituzionali: per intenderci, ci si riferisce alla promozione, al sostegno, allo sviluppo; in sintesi ci dobbiamo rapportare ad un nuovo modo di intendere e di fare “politica culturale”, ripensando il rapporto con i privati e ristabilendo con la comunità un dialogo di compartecipazione e coinvolgimento più profondi.
Certo, il primo indiscusso livello del “fare cultura” a favore della città deve avere in sé il profondo convincimento che questa sia necessaria e rappresenti un doveroso impegno della Pubblica Amministrazione: pertanto è d’obbligo provvedere per agevolare la conoscenza, la promozione e la fruizione culturale. E in questo aspetto sta “l’operato istituzionale” da cui non si può prescindere, purché consideri la cultura un bene trasversale.
Altro aspetto – anche questo molto importante – è quello legato alla realizzazione di manifestazioni culturali che, ormai è notorio, portano in sé una doppia valenza: la prima, quella di rappresentare uno strumento di conoscenza, un’occasione di affinamento della sensibilità, un’opportunità, un mezzo per avvicinare ad espressioni artistiche altrimenti meno alla portata; il garbo di una proposta culturale realizzata in un contesto anche non del tutto proprio può sollecitare e mettere insieme curiosità diverse, certamente propositive per un ampliamento della proprie conoscenze. Ben vengano quindi gli incontri musicali nella Pinacoteca, le mostre di matematica e di fisica al Museo di storia naturale, le letture di testi classici o storici al Museo archeologico e gli incontri estivi negli spazi aperti dei musei.
La seconda valenza, e qui entriamo in un ambito diverso, è quella di significare un elemento di attrattiva per la città, e quindi di incontro anche per un pubblico non cremonese. Come non rimpiangere le bellissime mostre o le manifestazioni estive un tempo organizzate a Cremona? Ben vengano… Ma in tutto ciò, è importante non sostituire la rappresentazione con l’esigenza, l’essenziale con il discrezionale, l’indispensabile con il possibile. Facilmente si possono confondere le priorità, ed anche credere che solo l’eccezionale sia la strada per una vera formazione intellettuale: ma, senza nulla togliere ai grandi eventi, poiché la nostra città ne ha realizzati molti che sono serviti per renderla meta di tanti visitatori, preferirei fossimo tutti convinti che la costanza, la quotidianità, il senso dell’accoglienza, il buon lavoro di un’Istituzione che sa stare al passo coi tempi e cerca di coinvolgere la comunità per renderla protagonista del proprio accrescimento culturale possano reggere anche un momento così difficoltoso.
Non comprendere tutto questo significa dunque, a lungo andare, disperdere, non fidelizzare, tagliare e penalizzare senza un disegno e far cadere la scelta su ciò che è meno appariscente: musei, biblioteche, archivi, ovvero le Istituzioni.
Quale che sia comunque l'opinione di ciascuno, resta per tutti l'obbligo di impegnarsi per dare strumenti alla collettività, per tentare di collaborare e sentirsi parte di uno sforzo comune.
Ivana Iotta
Direttore Sistema Museale Cremona
© Riproduzione riservata
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