delle “vite minori”
A Grouse County la quotidianità scorre con placida lentezza, portandosi appresso le vicissitudini dei suoi abitanti. Un vecchio ricordo di famiglia da recuperare, una vita insoddisfacente da rimettere in sesto sfidando le certezze acquisite, la serenità auspicata dopo un’infanzia segnata da instabilità e abbandono e, infine, i voli di fantasia di un bambino al cospetto delle prime istintive paure. Tom Drury torna nelle librerie con il secondo capitolo della trilogia di Grouse County, e - dopo la coralità del primo romanzo - sceglie di concentrarsi sull’universo interiore di un numero ristretto di personaggi. Sin dal titolo, questo racconto ascrivibile al genere della “letteratura del quotidiano”, rivela la sua connotazione onirica e notturna, e sorprende con la sua apparente semplicità. Ad essere ritratto in queste pagine è un Midwest punteggiato di fattorie e popolato da un’umanità semplice, figlia di quell’America profonda in cui le contee si configurano come piccoli mondi costruiti su un ristretto sistema relazionale. È all’interno di questo recinto invisibile eppure ben definito che si muovono inquietudini e aspirazioni, speranze frustrate ed azzardi capaci di stravolgere le certezze faticosamente costruite nel tempo. Mentre Charles concentra le sue energie su una questione di poco conto, la moglie Joan - alla ricerca di una scintilla capace di imprimere una svolta alla sua vita - trova conforto tra le braccia di un uomo dal fare ambiguo, e si allontana così dalla famiglia. Ne risulta un romanzo che, traendo dalla quotidianità la sua ragion d’essere, descrive la facilità con cui i sogni si insinuano nella realtà fino a sfumarne i contorni. Attraverso le vite “minori” dei suoi personaggi, Drury sembra suggerirci quanto precaria sia la nostra permanenza sulla terra, e quanto profondo possa essere il solco creato dalle nostre decisioni. “A volte la vita le pareva così piccola da farle desiderare di chiuderla in una scatolina e gettarla tra le erbacce”.
DA MONDO PADANO DEL 24 NOVEMBRE 2017
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