un lampo, due spari
nel 1924 il caso dell'omicidio alla Cascina Costone
Sono da poco passate le dieci di sera di venerdì 23 maggio 1924 quando una voce risuona davanti al cancello chiuso della cascina Costone, poco fuori porta Milano. Regna il silenzio, rotto solo dai latrati dei cani, che rispondono a quelle grida. E’ Giuseppe Cabrini, un ragazzo diciannovenne rimasto chiuso fuori di casa, che richiama l’attenzione del padre: le chiavi che suo fratello gli ha dato per aprire fanno resistenza nella vecchia serratura arrugginita del cancello, e dopo dieci minuti di inutili tentativi, ha deciso di chiamare il padre perchè venga ad aprirgli. Di malavoglia il genitore si alza: quel ragazzo è sempre un problema. Ha altri cinque figli, quattro maschi ed una femmina, ma nessuno come lui. Se ne è stato via due giorni da casa dicendo che doveva svolgere degli affari ed il giorno prima, non vedendolo tornare, è stato costretto a denunciarlo in Questura perchè si è accorto che gli ha pure sottratto di nascosto un biglietto da mille lire. E lui, ormai sessantenne, è solo un dipendente degli affittuari della cascina, i signori Galli. Scende dal letto senza nemmeno vestirsi, attraversa nel buio il cortile, arriva davanti al cancello e con la chiave apre la serratura arrugginita. Sta togliendo una sbarra di ferro, posta a proteggere i battenti, quando il buio della notte viene improvvisamente squarciato da un lampo accompagnato da uno sparo, ed un proiettile lo sfiora.
"Ehi giovanotti, cosa fate!”, grida verso lo sconosciuto che ha sparato. Ma non si è ancora ripreso dalla paura, quando viene esploso un secondo colpo dalla stessa direzione del primo. Giuseppe, dopo aver tentato per un attimo di aggrapparsi al cancello, si accascia senza un gemito. Il genitore capisce subito quanto accaduto: in preda al terrore ed all’angoscia apre con forza il cancello e si getta sul figlio, cercando di sollevarlo. Ma non c’è più nulla da fare, Giuseppe non dà oramai più segni di vita. In preda alla disperazione il padre si mette ad urlare e si precipita verso casa chiamando in soccorso la moglie ed i figli. Le finestre delle case si illuminano nella notte, i vicini, al lume delle candele, scendono precipitosamente in cortile per portare il loro aiuto, ma Giuseppe è riverso bocconi a terra senza vita, con un foro di proiettile nella nuca, da cui si allarga lentamente una pozza di sangue. Vicino al cadavere, a circa due metri di distanza, scorgono due pistole di grosso calibro: una Mauser di grande potenza lunga circa 30 centimetri ed una pistola a tamburo d’ordinanza.
Fra le grida della madre e della sorella che inutilmente lo chiamano per voce, il corpo di Giuseppe viene portato in casa ed adagiato sopra il tavolo. In una tasca della giacca, recuperata da un ragazzo, vengono trovati tre caricatori da dieci colpi destinati alla Mauser, sei proiettili della pistola a tamburo ed un pacchetto di munizioni per una rivoltella Glisenti, mentre nella tasca interna si trova un portafoglio contenente 65 lire.
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