Da 14 anni è cappellano della Casa circondariale di Cremona. È un compito molto delicato. E don Roberto Musa, qui, nel carcere, ha incontrato un nuovo volto di umanità: «Sono venuto a contatto diretto con povertà che interrogano – afferma - Nella nostra realtà, poi, non vi sono più detenute, ormai da molto tempo, semplicemente persone del territorio, ma vi si accoglie anche tanta gente, che arriva da carcerazioni iniziate presso altri istituti, principalmente milanesi. Quindi si viene a conoscenza, a contatto anche con situazioni di estrema povertà, che, ringraziando Dio, a livello locale non ci sono o comunque sono molto limitate».
Di quali povertà stiamo parlando?
«Di tutti i tipi, in tutte le forme, non semplicemente quella economica. Sono povertà che ti interrogano, che a volta conducono le persone a scelte sbagliate, scelte che non vanno mai giustificate, perché il male è il male. Però, a volte, ciò che più provoca è l’impossibilità di poter offrire sempre a tutti una via di uscita dalla situazione in cui sono, per evitare che, una volta fuori, ricommettano ancora i reati per cui sono stati incarcerati o altri. Interroga molto il fatto che in Italia il tasso di recidività sia del 75%, questo vuol dire che qualcosa è carente. In alcune situazioni si riescono a raggiungere gli obiettivi, in altre no e questo è un pensiero, che accompagna costantemente, specie quando vedi che ci sono persone, che vivono l’esperienza del carcere semplicemente come privazione di libertà e non come opportunità di liberazione e di crescita».
In tutto questo come viene calato il concetto di giustizia riparativa?
«Come in tutte le altre carceri, Cremona non fa eccezione. I percorsi di giustizia riparativa possono avere due prospettive: una è quella legata al recupero del rapporto tra colui che ha commesso il reato e colui che lo ha subìto, affinché ciò possa essere di aiuto ad entrambi: al primo per prender coscienza del reato ed assumersene appieno la responsabilità, al secondo per poter superare il trauma vissuto, da cui si resta segnati, e poterlo rielaborare, recuperando un equilibrio; quando invece (...)».
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