Una perdita può costruire? Uno strappo può diventare sentiero, e poi strada e la strada finire per essere una “chiamata”, cioè vocazione? La vicenda umana e professionale di Adolfo Ceretti è la prova che sì, è possibile. Dalla «perdita di un maestro» alla successione di fatti, incontri e domande laceranti che lo portano prima agli studi di vittimologia – sulle orme di un nuovo maestro – e poi a scoprire, “per caso”, quella rivoluzione culturale che si chiama giustizia riparativa. Della quale, Ceretti, oggi professore di Criminologia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e segretario generale del Centro nazionale di Prevenzione e Difesa sociale, è diventato tra i massimi conoscitori e divulgatori in Italia. Anche a lui l’allora ministro della Giusitizia Marta Cartabia si è ispirata per inserire questo tema nella riforma che porta il suo nome, datata 2021, a cui è seguito il Decreto legislativo 150/2023 e che ha fatto registrare, il giorno stesso in cui Ceretti ci ha concesso questa intervista, un importante passo verso la sua piena attuazione.
Uomo e professionista si contaminano. Le domande esistenziali, la ricerca a uno loro risposta: tutto conduce a oggi, in un percorso che Ceretti ha condensato in un volume dal titolo evocativo: “Il diavolo mi acarezza i capelli. Memorie di un criminologo”, autobiografia edita da “Il Saggiatore”, che è anche un’immersione nel suo grande lavoro da criminologo.
Professore, da dove nasce il desiderio di un nuovo modello di giustizia come quella riparativa?
«C’è un fatto che è entrato nella mia vita in modo indelebile. Mi ero iscritto a Giurisprudenza con il desiderio di fare Filosofia. Poi mi sono lasciato affascinare dalle materie metagiuridiche e tra queste criminologia, a quel tempo insegnata dal professor Guido Galli, magistrato e figura determinante nella lotta al terrorismo. Il professor Galli fu ucciso dal gruppo armato denominato Prima Linea, il 19 marzo 1980, davanti all’aula dove avrebbe dovuto iniziare la lezione. Io ero in tesi con lui. Questo fatto mi ha posto una serie di domande sui temi fondanti della giustizia. Nel coltivare i miei studi, e poi lavorando al tribunale di sorveglianza di Milano mentre si chiudeva la (...)».
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