Non c’è Cremona senza Monteverdi. E’ venuto il tempo, per la città tutta, di crederci davvero. Il tempo in cui si deve passare dalla fase del riconoscimento delle potenzialità a quella della consapevolezza. E del coraggio. Cremona e Monteverdi, sostiene il Sovrintendente, possono costruire un’identità forte, da esportare grazie al festival, oltre il festival. E, dunque, squillino le trombe, Monteverdi Festival alla quarantesima edizione, si prepara a riempire di musica e spettacoli le prossime due settimane. Un protagonista senza tempo per un programma vario, fatto di proposte tradizionali con musica e opera ma anche di contaminazioni: con il jazz, con le atmosfere del Café Chantant, con le azioni sceniche di una “rockstar punk”, e “diffuso” per la volontà e l’impegno degli organizzatori nel coinvolgere luoghi diversi della città, ogni anno di più. Basterà? Ne abbiamo parlato con Andrea Cigni, Sovrintendente del teatro Ponchielli.
Il Festival Monteverdi è la proposta più “cremonese” del teatro Ponchielli. E’ recente, tra l’altro, la richiesta al Ministero affinché possa diventare Festival di rilevanza nazionale. Ancora oggi, però, il nome di Monteverdi viene associato soprattutto a Venezia e Mantova. Come e dove possiamo migliorare affiinché diventi sempre più “nostro”?
«Direi che il Festival Monteverdi è la proposta più cremonese di Cremona, prima ancora che del teatro Ponchielli. Lo dice la storia della musica. Prima di tutto viene Monteverdi, perché Monteverdi è nostro contemporaneo, compone opere e musica di ascolto semplice e immediato, e per apprezzarle non occorre essere degli specialisti, bastano orecchie e cuore. La proposta più cremonese che rappresenta anche il più grande (...)».
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