Guardo con preoccupazione agli “indicatori” che vengono pubblicati in questo inizio d’anno: su tutti il calo del turismo o l’andamento delle vendite in occasione del Natale. Non mi aiuta a guardare con fiducia al 2017 neppure lo sviluppo dei poli di media e grande distribuzione o - allargando gli orizzonti - la riforma incompiuta di riorganizzazione delle autonomie locali. A metà del mandato mi paiono timidi i segni di quella “rigenerazione urbana” promessa ma che fino ad oggi stenta a concretizzarsi. Allora, come Confcommercio, siamo a richiamare l’utilità di uno sforzo per ripensare la città che ci porti a guardare alle linee di sviluppo in modo nuovo. Dobbiamo insomma mettere in campo un percorso articolato e necessario fondato su linee di azione che considerino che non tutto è mercificabile (come il rilascio di nuove autorizzazioni per centri commerciali), non tutto può essere ricondotto a logiche di mercato poiché il mercato non riconosce i “bisogni”, ma considera solo le “domande”. Occorre invece prestare attenzione ai “bisogni” di una città. Cremona ha lanciato il suo disperato SOS e lo possiamo ascoltare guardando i troppi negozi sfitti, il centro spesso deserto, la crisi delle strutture ricettive e la fuga di chi offre servizi. Un problema che sarebbe sbagliato confinare alla questione turistica perché il centro di Cremona è sempre meno un riferimento anche per i residenti nel circondario. Si deve allora tornare ad affrontare il tema della “città come grande casa”, in modo da soffermarsi sui meccanismi di relazione tra struttura urbana e assetto sociale in una logica che travalica il singolo settore (il commercio) e ne coinvolge molti altri: la viabilità, i trasporti, la qualità dell’abitare, gli spazi per la cultura e il tempo libero, il verde, l’ambiente urbano, l’istruzione, eccetera. Ecco perché in questa fase, più che mai in passato, si deve partire dalle esigenze e dalle esperienze di tutti i portatori di interesse. Serve che ambizione e consapevolezza siano un patrimonio diffuso, almeno nella classe dirigente. Si deve tornare a credere in Cremona quanto fanno i nostri imprenditori che in questi anni hanno stretto i denti e non hanno rinunciato a far vivere la città. Ci sono esempi illuminati di chi crede in Cremona. Penso al mecenatismo che ha consentito di superare la “voragine” di Piazza Marconi, di creare il Museo del Violino, ora di rilanciare le Colonie Padane. Ma anche alla riqualificazione di Palazzo Grasselli. Luoghi dove si intrecciano storia e identità di una città. E che devono essere stimolo a un rilancio turistico più forte. Siamo alla vigilia delle celebrazioni per il 450mo anniversario di Monteverdi. L’auspicio è che gli investimenti (comunque importanti) portino a una effettiva promozione della nostra identità culturale. Fino ad oggi non ci siamo riusciti appieno. Come in occasione delle celebrazioni per Tognazzi o, ancora, alle presenze alla mostra di Torriani. E, infine, ad un Museo del Violino che non è riuscito, in questi anni, a crescere quanto si sarebbe potuto auspicare. Il 2017 sarà anche l’anno di ERG. Ma anche su questo temo la logica di eventi che, nel concreto, non sanno tradursi in vere occasioni di sviluppo. Come è stato, peraltro, in occasione dell’anno in cui siamo stati capitale europea dello sport. Nel frattempo abbiamo perso occasioni importanti, come il Festival del Racconto o, successivamente, le Corde dell’Anima sostituite da altri Festival di minor respiro. Molto si può fare, ritrovando collaborazioni più forti, una nuova capacità di confronto e un’autentica fiducia reciproca. Per quanto riguarda il centro penso, in particolare, ad una riflessione seria sulla Ztl. Parlando con i nostri imprenditori ho raccolto la loro preoccupazione per un impatto sulle attività che stimano in un 5% del fatturato (ovviamente in meno). Così come si deve ripensare al tema della sosta cercando di prevedere spazi di pregio nel centro per i residenti nelle sole ore notturne lasciandoli ai city user nelle fasce orarie in cui la città vive di commercio e servizi. Un modello che è già stato applicato con successo in altre realtà non troppo distanti da noi. Serve uno sforzo per recuperare gli spazi vuoti, magari con partnership che sostengano il fundraising. Penso ad una nuova vita per il Tognazzi (resa più difficile la via di un ritorno a sala cinematografica magari potrebbe essere una galleria commerciale) o del Politeama. Invece Cremona, con poche eccezioni, resta incapace di rigenerare gli spazi dimessi. E non è un caso che anche il progetto del parco dei Monasteri sia ormai (quasi) definitivamente perduto. La città si deve impegnare per creare dei “magneti” (non solo culturali ma anche legati alla formazione o al tempo libero) che possano riportare in centro i “momenti di vita” che oggi si sono trasferiti altrove (multisala o gallerie dei centri commerciali) provocano un impoverimento del centro urbano. Un progetto che deve rianimare o rigenerare la città tanto nei giorni lavorativi quanto nel fine settimana. Fondamentale per la valorizzazione di Cremona è il rilancio del sistema universitario seguendo il solco dei corsi legati alle nostre eccellenze (la musica, la liuteria ma anche l’agroalimentare). In questo modo si possono creare progetti che vanno oltre l’effimero di una sola stagione. Se guardiamo all’agroalimentare, in particolare, credo che manchi anche la consapevolezza della nostra “ricchezza”. Proprio in questi giorni leggo della “cremonesità” del lievito “Pane Angeli” o, da qualche tempo, mi aveva incuriosito una nota sulla origine delle “frittelle”. Abbiamo esempi positivi di eventi legati al marketing dei prodotti: il torrone ma anche (finalmente) la mostarda. E nella stessa direzione occorre muovere anche con le altre eccellenze: dalle carni ai marubini. Così come va abbandonato un certo “snobbismo” che sposta i festival dal centro alla periferia o che rende inaccessibile, in momenti strategici piazza Duomo. Mi riferisco alla Maratonina o, ancora alla Mille Miglia (che passa su Ponte Vecchio, in Piazza del Campo, arriva in Vaticano). In questo percorso di cui Cremona ha bisogno le imprese del commercio possono giocare un ruolo importante. Si deve intendere il terziario, in ogni sua declinazione, come un motore di sviluppo dentro il tessuto urbano. Non basta il “bando” sui negozi sfitti. Serve una politica più attenta, che sappia valorizzare le imprese storiche o che eviti di tartassare le imprese con imposte inique, come ad esempio la Tari. Quando si affrontano temi come quello della accessibilità del centro, della viabilità o della sosta, della animazione e del ripensamento nelle funzioni dei contenitori dismessi non si tratta (come qualcuno talvolta vorrebbe supporre) solo di dare qualche speranza alla categoria dei commercianti, ma di riqualificare la città con un piano di ampie prospettive, di ripensarla in una visione futura.
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