Gli allevatori italiani hanno perso in un anno oltre 550 milioni di euro perché il latte viene pagato al di sotto dei costi di produzione, con una riduzione dei compensi di oltre il 20 per cento rispetto allo scorso anno su valori inferiori a quelli di venti anni fa mentre al consumo i prezzi non calano. E’ quanto emerge dal dossier presentato dalla Coldiretti “la guerra del latte” che si è estesa con decine di migliaia di allevatori dalle industrie ai supermercati delle grandi città da Roma a Torino, da Bologna a Venezia, da Bari a Milano, dove sono state portate anche le mucche a rischio di estinzione perché gli allevatori non riescono piu’ a mantenerle.
Nel passaggio dalla stalla allo scaffale - sottolinea la Coldiretti - i prezzi moltiplicano fino a quattro volte per il latte fresco con i centesimi riconosciuti agli allevatori che si trasformano in euro pagati dai consumatori. L’industria – denuncia la Coldiretti - ha deciso unilateralmente di tagliare i compensi per il latte alla stalla di oltre il 20 per cento rispetto allo scorso anno, proponendo accordi capestro che fanno riferimento all'indice medio nazionale della Germania, con una manovra speculativa ingiustificata e quindi inaccettabile. Siamo di fronte, infatti, ad una palese violazione delle norme poiché il prezzo corrisposto agli allevatori è inferiore in media di almeno 5 centesimi rispetto ai costi di produzione, che variano dai 38 ai 41 centesimi al litro secondo l’analisi ufficiale effettuata dall’Ismea in attuazione della legge 91 del luglio 2015 che impone che il prezzo del latte alla stalla debba commisurarsi ai costi medi di produzione.
Lo studio ufficiale sui costi di produzione del latte bovino elaborato in esecuzione della legge 91 del luglio 2015 - continua la Coldiretti - evidenzia che nel giugno 2015 in Lombardia i costi medi di produzione del latte oscillano da un minimo di 38 centesimi al litro per aziende grandissime di oltre 200 capi di pianura, a prevalente manodopera salariata, con destinazione a formaggi DOP, fino ad un massimo di 60 centesimi al litro per aziende piccole di 20-50 capi di montagna/collina, a prevalente manodopera familiare, con destinazione del latte a formaggi DOP.
Il risultato è che nel 2015 hanno chiuso circa mille stalle, oltre il 60 per cento delle quali si trovava in montagna, con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti. E quelle che sono sopravvissute, circa 35mila, non possono continuare a lavorare in perdita a lungo. “A rischio c’è un settore che rappresenta la voce più importante dell’agroalimentare italiano con un valore di 28 miliardi di euro con quasi 180 mila gli occupati nell’intera filiera” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “in gioco c’è un patrimonio del Made in Italy alimentare che ha garantito all’Italia primati a livello internazionale ma anche un ambiente ed un territorio unico che senza l’allevamento rischia l’abbandono ed il degrado”.
Il settore lattiero caseario, secondo l’analisi della Coldiretti, rappresenta la voce più importante dell’agroalimentare italiano, con 35 mila imprese di allevamento, oltre la metà delle quali (55 per cento) si trova in zone montane o svantaggiate, per una produzione complessiva di latte bovino che ammonta a 11 milioni di tonnellate a fronte di 20 milioni di tonnellate consumate. In altre parole l’Italia è diventata dipendente dall’estero per quasi la metà del proprio fabbisogno in prodotti lattiero caseari.
Una caratteristica distintiva e straordinaria della produzione lattiero-casearia italiana è la sicurezza alimentare e la qualità che esprime le nostre stalle sono le più controllate al mondo (in media un controllo, diretto o in auto controllo, settimanale) e offrono un latte dalle elevate caratteristiche nutrizionali. Per quanto riguarda invece – continua Coldiretti - la qualità, è da sottolineare come oltre il 45% delle nostre produzioni serve a realizzare i migliori formaggi del mondo la cui qualità e distintività e strettamente legata alla produzione di latte dei nostri territori. L’intera filiera genera un valore di 28 miliardi di euro al consumo - conclude la Coldiretti - con quasi 180mila occupati
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