Partendo dal docufilm del regista inglese Tony Palmer The Harvest of Sorrow si può ripercorrere la vicenda artistica di Sergej Rachmaninov, pianista e compositore russo (1873-1943), protagonista della vita musicale del suo tempo, e quella privata, di un uomo profondamente legato alla sua terra, alla sua famiglia, alla casa dell’infanzia, ai riti e alla fede di una patria che si è visto costretto ad abbandonare in seguito alla Rivoluzione bolscevica del 1917. Il 1° novembre 1918 parte con la famiglia per New York. In quattro mesi tiene 40 concerti. Nel 1921 i Rachmaninov acquistano una casa a Beverly Hills, dove consapevolmente ricreano l’atmosfera di Ivanovka, la residenza russa, intrattenendo ospiti russi, impiegando domestici russi e seguendo tradizioni russe. Questo attaccamento alla patria si manifesta anche nel continuo invio di pacchi di generi di prima necessità e di soldi verso la Russia, per i musicisti in difficoltà e per gli studenti. Ma nulla poteva restituirgli l’ispirazione a comporre: «Lasciando la Russia io ho lasciato dietro di me lo stimolo a comporre. E partendo dal mio paese ho perduto me stesso. In questo esilio, lontano dalle mie radici e dalle mie tradizioni, io non trovo più lo stimolo a esprimermi». Effettivamente, tra il 1918 e la sua morte nel 1943, mentre vive negli Stati Uniti, completa solo sei composizioni. Certo, doveva occupare molto tempo come pianista, ma al fondo c’era una grande nostalgia. La sua rinascita come compositore è possibile solo grazie alla costruzione di una nuova casa, Villa Senar, sul lago di Lucerna, in Svizzera, dove trascorre le estati dal 1932 al 1939. Lì, nella villa che gli ricordava la tenuta di famiglia, Rachmaninov compone nel 1934 la Rapsodia su un tema di Paganini, la Sinfonia n. 3 op. 44 e le Danze sinfoniche op. 45, il suo ultimo lavoro completato nel 1940. Durante un tour di concerti nel tardo 1942 gli viene diagnosticato un melanoma in stato avanzato. Il 1° febbraio 1943 diventa cittadino americano. La sua ultima performance è del 17 febbraio 1943, un concerto nell’Università del Tennessee, in cui esegue anche la Sonata n. 2 di Chopin che contiene la famosa Marcia funebre. Tornato nella casa di Los Angeles, si spegne il 28 marzo 1943, quattro giorni prima del suo settantesimo compleanno. È sepolto nel Kensico Cemetery di Valhalla, New York. Rachmaninov per tutta la vita fu uno spirito infantile, che amava la velocità delle auto (lo si vedeva sfrecciare al volante in California), i giochi infantili, le matite colorate e tutte le conquiste della tecnologia. Da questo temperamento non poteva che nascere un sentimento spesso confuso con la stravaganza, come quando si alzava alle sette di mattino per andare ad ascoltare i canti ortodossi nel monastero Andronikov (la sua passione per quel mondo si ritrova in opere come il Vespro e la Liturgia), dove restava in piedi nella penombra per ore ad ascoltare i canti dei monaci, o come quando dopo un concerto stava fino all’alba nel ristorante per ascoltare le canzoni tzigane. Senza queste emozioni non poteva vivere. L’allontanamento forzato dalla madrepatria ha generato quindi in Rachmaninov una ferita rimasta aperta lungo tutta la sua esistenza.
«Un fantasma che girovaga senza sosta per il mondo»
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