«per ciò che riceviamo»
Se l’albero ha radici buone, i frutti lo saranno altrettanto. Le iniziative nate a Pieve d’Olmi non sono «nulla di speciale», è vero, ma non nascono dal “caso”. Se oggi il piccolo paese della Bassa ha un oratorio vivo, cioè capace di occasioni di svago, di incontri e di comunicazione della bellezza della fede, è per un sentimento di gratitudine presente nelle persone che lo animano.
Breve, ma necessaria cronistoria. Nell’ottobre scorso, la parrocchia di Pieve resta orfana di don Emilio Garattini, un «uomo non di chiacchiere ma di relazioni», dirà il vescovo Napolioni al suo funerale. Una presenza fissa in oratorio, sempre umile, servitore, esempio nei gesti più che nelle parole (rare, ma sempre calzanti). Chi vive così, anche senza saperlo, semina. Don Emilio Garattini lo faceva dal 2003, quando era arrivato da Gombito e nel day-by-day a Pieve indicava senza mai mettersi in primo piano, insegnava senza darsi toni da maestro. Dava l’esempio. Non tutti ne traevano spunto, ma molti (magari senza rendersene conto) ne sentivano i benefici.
Quando il parroco viene improvvisamente a mancare (un malore, guarda caso mentre è in oratorio), i parrocchiani sono scossi e molti si sentono «sperduti». Dopo la prima, comprensibile, settimana di locali chiusi, un gruppo di dieci, dodici persone sente il bisogno di ritrovarsi e far ripartire quel luogo dove ha ricevuto e continua a ricevere qualcosa di prezioso. «La fede, innanzitutto», dicono al nostro giornale. «Poi un certo modo di stare insieme; un’amicizia e un senso di appartenenza non scontate»...
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