La giustizia riparativa può essere la tinteggiatura di uno spazio comune in carcere, può essere un lavoro socialmente utile e può prendere il via con una lettera scritta alla vittima.
«Si parla di giustizia riparativa da diversi anni – spiega Rossella Padula, da 5 anni direttrice della Casa circondariale di Cremona – perché le regole penitenziarie europee del 2006 e quelle successive, insistono molto sul tema. La legge Cartabia e il decreto attuativo del 2022 hanno dato ulteriore impulso, ma già nel 2018 la legge penitenziaria era stata integrata con questo argomento. Il punto qual è? Si è sentita la necessità di dare più visibilità e spazio alla vittima del reato. La vittima può essere la persona offesa, lo possono essere i suoi familiari, ma può essere la società. Nello specifico, questo aspetto è da sottolineare: la società. Perché anche la società ha subito un danno dal reato. Poi abbiamo la persona “indicata” come autore del reato (questa è la dicitura della legge Cartabia che tiene conto del principio di presunzione di innocenza sino all’ultimo giudizio) che viene aiutata a fare un percorso di responsabilizzazione. Quindi di consapevolezza di quello che ha commesso, dei valori che sono stati violati e dei legami che sono stati, in qualche modo, rescissi. Dunque, non c’è solo la violazione della legge penale, ma c’è anche la responsabilità di aver portato offesa a una persona, ai suoi familiari e alla società».
Il percorso della giustizia riparativa inizia prima della condanna definitiva?
«Avviene prima della sentenza definitiva, di solito, ma può avvenire anche dopo. Noi abbiamo già una misura alternativa alla detenzione che è l’affidamento in prova ai servizi sociali ed è prevista dalla legge penitenziaria del 1975, una norma che prevede anche delle azioni di riparazione verso le vittime del reato. La persona indicata come autore del reato deve però aderire a questo percorso».
Sono più gli autori di reato che aderiscono alla giustizia riparativa o sono più le vittime? Comunque, ci sono anche le vittime?
«Ci sono anche le vittime. È chiaro che le azioni riparatorie verso la vittima devono essere accompagnate da un organo terzo, da esperti in (...)».
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