È liberazione da che cosa. È certamente liberazione da un regime, quello fascista. E quale regime fu? Io vorrei leggervi il punto 6 del manifesto della razza.
“Esiste ormai una pura razza italiana”. “Questo enunciato …” è basato “sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.”
Con 450 studenti delle scuole di Crema, Cremona e Casalmaggiore, giovedì scorso siamo tornati dal viaggio della memoria e abbiamo visto, ancora una volta abbiamo visto le conseguenze delle parole che abbiamo letto, presso il Camp de Milles, uno dei tanti campi di concentramento che macchiarono di sangue e di odio la nostra terra europea. E in quel campo tre domande risuonavano fortissime:
Come ci si è arrivati? Che cosa avrei fatto io? Che cosa farei io se domani accadesse ancora?
Sono domande centrali, perché anche il manifesto della razza italiana nasce in Italia da un lungo percorso in cui le coscienze si addormentarono. Certo, il 25 aprile è giorno della liberazione da un regime che volle questo. Ma non dobbiamo dimenticare: il regime era fatto dal consenso di cittadine e cittadini, dal sonno della coscienza di moltissimi dei nostri parenti.
Un ragazzo, che ha presentato insieme a tanti altri il lavoro di preparazione fatto dalla sua classe in Consiglio Comunale, ci ha spiegato che in Germania, ma vale anche per l’Italia, la Francia e altre parti dell’Europa, la coscienza dei singoli e delle comunità fu uccisa e un coraggio “al contrario” consisteva nell’unirsi agli uccisori e ai violenti invece che andare contro il sentimento della maggioranza.
Anche oggi c’è un’omologazione fortissima:
omologati all’indifferenza, alla paura, all’individualismo che diventa vigliaccheria di fronte ai problemi che abbiamo davanti, al non rispetto dell’altro. Tutti rischiamo questa omologazione. E c’è un’omologazione ulteriore cui prestare moltissima attenzione: rischiamo tutti di banalizzare il male ancora oggi o meglio di pensare che il male sia soltanto quando colpisce me e il gruppo del quale faccio parte.
E allora pongo ulteriori domande decisive per me:
Che cosa è cambiato dall’ultimo 25 aprile nella nostra convivenza?
Quante divisioni e fratture abbiamo creato?
Quanti individualismi abbiamo fomentato?
Quante paure abbiamo lasciato che ci vincessero?
Quante volte abbiamo pensato o creduto che la sofferenza di qualcuno valga di meno della sofferenza di altri.
Quante volte abbiamo pensato che l’offesa possa essere lo stile per relazionarsi all’altro? Quante volte abbiamo pensato che l’egoismo e la chiusura di territori, di quartieri, di categorie, di famiglie possano essere la risposta ai problemi?
Quante volte abbiamo ancora pensato che le differenze culturali siano solo portatrici di problemi e non anche di possibilità di crescita?
Responsabilità è rispondere a queste domande, se vogliamo, secondo me, che le celebrazioni del 25 aprile abbiano senso.
E la risposta non può che fondarsi su almeno tre pilastri, concretissimi e efficacissimi.
a) La nostra Costituzione:
ci dice che la nostra democrazia si fonda su un senso delle istituzioni più forte e a noi spesso manca, su un senso di comunità più forte e a noi spesso manca, su un rispetto più forte per ogni persona e a noi spesso manca, su diritti e doveri perché ad ogni diritto corrisponde un dovere.
b) Virtù civili:
a. Speranza: la rassegnazione e la paura portano morte, la speranza e la forza della speranza portano all’assunzione di responsabilità, per costruire un futuro di tutti, anche a partire dalle differenze di mentalità e di culture.
b. Coraggio di stare di fronte alla complessità dei problemi senza ricerca di bacchette magiche, ma con pazienza e entusiasmo e gratuità
c. Senso morale della storia: ovvero la capacità di leggere i fatti anche complicati e difficili sempre a partire dal rispetto della dignità degli individui.
“La nostra testimonianza è per voi per chiedervi di incarnare e difendere questi valori democratici che hanno le loro radici nel rispetto delle dignità umana” (dice Madame Simone Veil, testimone grandissima di quegli anni bui).
c) L’Europa, ma quale Europa quale Europa: della libertà o dei muri?
Madame Simone Veil pone a tutti noi una questione di fondo: ricordare questa storia significa essere consapevoli “che la vigliaccheria e l’indifferenza sono le tentazioni presenti sempre e alle quali è facile cedere se non si sta attenti. Contro queste tentazioni la memoria e la storia sono le fortezze che dobbiamo edificare”.
Facciamo memoria dunque. Al Camp de Milles, ho visto una foto nella quale una folla alza il braccio per il saluto nazista, ma una sola persona no, sta con le braccia conserte e lo sguardo dritto e fiero. Alle malattie della coscienza di una comunità si può resistere: dipende da ognuno di noi, non da altri ma da ognuno di noi. La liberazione è scelta: si può scegliere di conformarsi a dinamiche di odio e esclusione o si può scegliere di usare la testa e capire i problemi e affrontarli insieme con speranza e rispetto.
Quest’anno c'è stata una nuova pubblicazione dell’Archivio di stato, del Comune e di altre realtà meritorie. È sulla storia di donne della resistenza. C’è anche una targa che ne ricorda i nomi in cortile Federico II. Donne non note, nomi non famosi, donne straordinarie anche nella loro normalità, unite da alcune caratteristiche comuni: “tenacia, determinazione, forza di carattere”. Perché dipende da ognuno di noi se il 25 aprile è vera festa di cambiamento. Noi oggi a queste donne e a quell’uomo che non alzò la mano per il saluto nazista, dobbiamo moltissimo: le loro storie sono per noi cibo salutare della coscienza civile, per ritrovare una nuova e coraggiosa capacità di liberarci dall’indifferenza e dalla paura e dai muri e di conquistare con coraggio una nuova capacità razionale e concreta di sperare. Oggi il 25 aprile significa per noi liberazione e speranza.
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