trenta anni dopo a Sotheby’s
Bisogna tornare indietro di quasi trent’anni per raccontare questa storia, andare al 1985, l’anno della mostra dei Campi.
Il grande spartiacque per la cultura a Cremona, l’anno in cui la città comincia a organizzare mostre: com’è andata a finire, poi, lo sappiamo tutti. Intorno a quell’evento, non solo a Cremona, fioriscono varie iniziative: a Milano, nella galleria antiquaria di Rossella Gilli, c’è una scelta esposizione di antichi disegni lombardi.
L’introduzione è firmata da Giovanni Testori, e i fogli cremonesi fanno la parte del leone: Giulio, Antonio e Vincenzo Campi, Malosso e tanto altro.
C’è, attribuito ad Antonio Campi, questo bello studio per una Crocifissione (in realtà è l’episodio appena precedente, con Cristo che sta per essere inchiodato alla croce).
Il riferimento però non convince appieno.
Sembra un’opera più vicina allo stile di Giulio: quello dei rapporti tra i due fratelli negli anni sessanta del Cinquecento, però, è un problemino insidioso; le attribuzioni all’uno o all’altro inciampano e si accavallano un po’. Sandro Ballarin, come me, pensa a Giulio.
All’epoca, più di adesso, facevo lo spoglio delle riviste specializzate.
Così mi accorgo che sulle pagine pubblicitarie del “Burlington Magazine” (la rivista inglese di storia dell’arte forse più nota, almeno per nome, anche ai non addetti ai lavori) del maggio 1966 è riprodotto, in piccolo e in bianco e nero, un quadretto attribuito a Jacopo Bertoja, un pittore manierista di Parma, la cui produzione a volte si confonde con quella dei Campi, per il comune ascendente del Parmigianino.
La tavoletta è strettamente collegata al disegno della Gilli: o meglio, il disegno è sicuramente preparatorio per il bel dipinto; lo stile è proprio quello della Crocifissione di Giulio Campi nella collezione di Gianfranco Carutti, che si è appena vista alla mostra dei Campi.
Ne do notizia, in maniera molto sintetica, nel catalogo di una mostra di disegni della Galleria Estense di Modena nel 1989.
Poi, mi dimentico della faccenda per oltre vent’anni, fino a quando, nell’ottobre 2011, Letizia Treves, Senior Director del dipartimento dei dipinti antichi della casa d’aste Sotheby’s, a Londra, mi sottopone proprio la tavoletta che avevo avvistato tanto tempo prima nella foto del “Burlington”.
È arrivata da poco nella sede di Sotheby’s per essere messa all’asta, con il vecchio riferimento a Bertoja.
David Ekserdjian, amico inglese che insegna a Leicester, grande esperto di Cinquecento italiano (curatore, tra l’altro, della straordinaria mostra Bronze, appena chiusa alla Royal Academy), pensa che possa essere un quadro cremonese, forse di Giulio Campi, ma vuole sapere cosa ne penso io.
Né David né Letizia conoscono la mia noterella del 1989, che passo loro molto volentieri, non senza un po’ di orgoglio perché mi conferma che, da giovane, un certo occhio ce l’avevo.
La smagliante tavoletta (61 x 42 cm) è poi passata presso uno dei più noti antiquari di Londra; ora non so che fine abbia fatto.
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