una vita senza fiume
di un'infanzia sul Po
Scrivere delle spiagge del Po è una specie di doloroso risarcimento: sono nato alla Canottieri Baldesio, quando ancora nello statuto per il raggiungimento dei pieni diritti o per l’ammissione (difficile) dei nuovi soci era previsto l’esame remo. Ovvero bisognava dimostrare quella dimestichezza nel rapporto con il fiume che era considerata imprescindibile per quella comunità. Tutto era accessorio - bar, sport vari - ma il Po era la vera casa, e le sue spiagge erano la sede estiva, la meta delle voghe solitarie o in compagnia.
Ero piccolissimo quando mia madre era accompagnata in barca, assieme ai piccoli figli, da Oreste, che ci conduceva fino a un recondito tratto dove allora (primissimi anni ’50), c’era una cascatella. Era il custode della Canottieri, e abitava in qualche locale nel fabbricato degli spogliatoi femminili, al primo piano a scanso di alluvioni, e la moglie Cesira al piano terra aveva qualche padana gallina di cui quasi sempre compravamo le uova. Più tardi il lavoro del taciturno Oreste fu preso dal figlio Marino Delindati, altrettanto di poche parole: ricordo che il raro sorriso era soprattutto negli occhi, e non so perchè i gesti apparivano sempre lenti, meditati, e non ero in grado di capire se la barca fosse una necessità o una passione, o, semplicemente, era.
Era la famiglia che per almeno un paio di generazioni (i figli poi presero altra strada) assicurò la continuità del sapere fluviale (compresa la costruzione delle venete, per lo più invernale, in un’officina al piano terra sotto gli spogliatoi maschili) e lo trasmise alla comunità dei soci, quando ancora era raro l’agonismo remiero. E tutto comunque era una famiglia, e anche quando i numeri annacquarono la dimestichezza, essere della Baldesio (immagino che fosse lo stesso per le altre società fluviali) significava la certezza del dove stare, dove incontrare, dove vivere una parte sana della vita, dove fare esperienze con pochi rischi; significava tanto romanticismo e per lungo tempo rispetto consapevole di uno straordinario pezzo di natura, gli argini erano non una barriera per il fiume, erano il confine della città, e superarli a piedi o in bici era approdare a una vita diversa.
Sono nato e cresciuto anche là, le evenienze della vita mi hanno portato a staccarmene, e non lo avrei mai voluto, non avrei mai voluto perdere quel mondo che ingenuamente pensavo come un’appendice scontata, qualcosa che nessuno avrebbe tolto a me o a chi dopo di me....
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