L’età dell’adolescenza è una delle più complicate che ci si trova ad affrontare durante la propria vita: sono gli anni delle ribellioni, dei contrasti, delle battaglie interiori, della scoperta di sé stessi. Turbolenze che spesso sono esacerbate da un utilizzo improprio degli strumenti tecnologici, come lo smartphone. Di qui, la richiesta di una parte della comunità educante di vietare questo strumento prima dei 14 anni. Ma è davvero la soluzione giusta? Tra i sostenitori del no c’è Viviana Dalosio, giornalista di Avvenire, che ha già più volte affrontato il problema.
«Quando si parla di smartphone, spesso ci si divide in due fazioni: accade a noi in redazione, ma anche nel dibattito pubblico. Sembra che vi siano due posizioni nette senza che si trovi una soluzione di mediazione», sottolinea la giornalista, che non fa un mistero della sua posizione sull’argomento: «Sono abbastanza convinta che oggi sia impossibile vietare ai nostri ragazzi di utilizzare una tecnologia in cui loro crescono immersi. E’ uno strumento presente nelle loro vite fin da quando sono molto piccoli, vietarglielo è come togliere loro una forma di linguaggio con cui sono abituati ad esprimersi. Non è come togliere le sigarette o l’alcol, che sono vizi. La tecnologia è una realtà nella quale sono nati e in cui si trovano immersi».
E vietarla, può essere controproducente: «A parte che quando vieti qualcosa ad un adolescente, gli fai venire ancora più voglia di utilizzarla, il divieto in questo caso è come il rifiuto di una realtà. Ma soprattutto, scegliere quella strada è, secondo me, una rinuncia educativa».
Dunque non vietare, ma educare al corretto utilizzo dello smartphone: per Dalosio quella è la strada giusta. «Certo, è la strada più difficile e faticosa. Gli strumenti ci sono: il parental control, i limiti di tempo, ecc. Ma ovviamente comporta un lavoro a monte da parte (...).
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