Martedì 1° giugno 2004, in un ufficio di Kiev dentro un grande palazzo in stile sovietico. La domanda è: sareste disposti ad adottare un bambino con una patologia grave? Marco Bonini risponde: no. Oggi ci spiega: “ne avevamo parlato a lungo con Manu, in tutta sincerità non ci sentivamo in grado”. Alla risposta, il funzionario ucraino sembra deluso e prosegue: “Oggi, per voi, non c’è più niente”.
Riavvolgiamo il nastro. Torneremo poi a questo momento. «Abbiamo deciso di intraprendere il percorso di adozione nel 2002 - racconta Marco, che abita a Cremona con la moglie - quando io avevo 42 anni e Manuela, 30. Il primo passaggio è stato quello di ottenere, dal tribunale dei minori di Brescia, il decreto di idoneità all’adozione». «Ci siamo sottoposti ai colloqui con Asl - aggiunge Manuela - senza capire proprio del tutto l’effettiva utilità di tutte queste domande. In alcuni momenti ho avuto l’impressione che ci scavassero nell’intimo». «L’abbiamo comunque accettato di buon grado - dice Marco - perché sapevamo che faceva parte del percorso».
Rispetto ai primi passi, dopo quanto è arrivato il decreto del tribunale dei minori?
«Dopo più di un anno, nel settembre 2003 - risponde Manuela Ferrari – poi abbiamo scelto l’ente che doveva seguirci nel percorso dell’adozione. La scelta è caduta su un ente che si chiamava A.Mo., aveva la sede a Fano, ma qua a Cremona aveva come referente il dottor Marco Arisi, che oggi non c’è più: per noi è stato di grande aiuto». «Tornerei un attimo sul tribunale - dice Marco - perché nel decreto era determinato che avremmo potuto adottare un solo bambino. Non abbiamo mai capito perché e questo ci ha sicuramente precluso l’adozione di eventuali fratellini».
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