Se guardo a questo 2020 dominato dalla pandemia, non è facile mettere ordine ai pensieri e alle immagini che si affollano nella mia mente, in un caleidoscopio di emozioni e sensazioni che avranno bisogno di tempo per sedimentare, prima di riuscire a esprimere un giudizio più distaccato rispetto a quanto accaduto. Come per tutti, anche per i giornalisti di Mondo Padano l’anno è stato diviso di netto fra un prima e un dopo, contrassegnato dall’arrivo della pandemia nel nostro Paese: un prima terminato bruscamente poco dopo la mezzanotte del 20 febbraio, quando l’assessore al Welfare della Regione Lombardia diede la notizia di un 38enne positivo al Covid-19 ricoverato all’ospedale di Codogno. Il giorno dopo si scoprì un altro focolaio, a Vo’ Euganeo, in provincia di Padova: in Veneto ci fu anche il primo decesso, il primo di una lunga serie se si pensa che al termine del 2020, nel nostro Paese, abbiamo superato abbondantemente le 70mila vittime, una cifra enorme, pari all’intera popolazione di una città come Cremona. E così, da quel 21 febbraio è iniziato il “secondo tempo” di quest’anno che mai dimenticheremo, perchè da quel giorno le vite di tutti noi sono mutate radicalmente: di punto in bianco, ci siamo trovati a convivere con questo killer spietato e invisibile e proprio per questo, all’improvviso, abbiamo perduto tutto ciò che consideravamo normale, come fare una passeggiata, bere un caffè in un bar, stringerci la mano. Tutto spazzato via, annientato dalle restrizioni imposte dal Governo nel tentativo di ridurre il più possibile la diffusione del contagio e con essa l’escalation delle vittime: storie di vita che hanno avuto come protagonisti soprattutto i nostri anziani, inghiottiti dal virus senza neppure potergli dare l’ultimo saluto. Insieme alla libertà, il virus ci ha strappato anche questo: i nostri legami, da un giorno all’altro divenuti solo virtuali, affidati com’erano (e come sono ancora oggi) ai cellulari e a internet.
Dal 9 marzo al 3 maggio, l’Italia ha sperimentato il primo lockdown, con limitazioni pesantissime alla libertà di movimento, la chiusura delle scuole e di tutte le attività economiche considerate non essenziali. Qualcosa di inimmaginabile, simile, seppur diverso, a quanto sperimentato dai nostri nonni in tempo di guerra, non a caso parola utilizzata spesso per rappresentare la battaglia contro il virus. All’improvviso, siamo stati catapultati in uno scenario lontanissimo dal nostro abituale modo di vivere la quotidianità, ogni giorno appesi al bollettino dei contagi e delle vittime, per lungo tempo confinati nelle nostre case, costretti a “spiare” le nostre città dalle finestre di casa, privati della possibilità di incontrare i nostri cari, congelati in questa condizione di sospensione che, seppur oggi differente da quella vissuta la scorsa primavera è, per molti versi, ancora presente. Se dovessi descrivere l’anno appena terminato affidandomi alle immagini rimaste impresse nella mia mente, non potrei non ricordare i volti stremati dalla fatica dei nostri sanitari, impegnati ininterrottamente, giorno e notte, nell’assistere i malati di Covid; non potrei non ricordare la straordinaria vicinanza mostrata dalle nostre comunità nei loro confronti, anche attraverso un’iniziativa come “Uniti per la provincia di Cremona”, che tante risorse ha permesso di destinare ai nostri presidi ospedalieri e a chi ne aveva più bisogno. Così come non posso scacciare dai miei occhi la tristezza dello sguardo di mia figlia, una bambina di 7 anni, da un giorno all’altro privata della scuola e con essa della normalità e della spensieratezza che caratterizza la vita a quella età. “Vedo” ancora la sofferenza silenziosa negli sguardi dei miei genitori, scippati della gioia di poter abbracciare i loro nipotini. Sento, come se fosse oggi, e mi vibra ancora dentro, il suono dolcissimo e straziante del violino di Lena Yokoyama, mentre ero in redazione, con le finestre aperte, in occasione dell’audizione in cima al Torrazzo – era il 4 aprile, in pieno lockdown – Cremona completamente deserta e l’Ave Maria di Charles Gounod mi avvolse, a ricordarmi che non eravamo soli, nessuno di noi. Di quest’anno serbo, come un dono prezioso che ci è stato dato, il nostro lavoro di giornalisti, chiamati a fare il nostro dovere, come tante altre categorie che durante questa pandemia non si sono mai fermate, non solo per raccontare, ma anche per spiegare cosa stava accadendo, attraverso una serie quasi infinita di approfondimenti e interviste che hanno permesso a Mondo Padano di svolgere appieno il ruolo di testimone e interprete di questo evento del tutto eccezionale. Come direttore di questo settimanale, sono orgoglioso di quanto la redazione e i collaboratori tutti sono stati in grado di realizzare, cercando di informare senza atterrire, di spiegare senza angosciare, con l’obiettivo di rappresentare non solo la tragedia che si stava consumando, ma anche la grandissima prova di forza, umiltà, solidarietà e vicinanza di cui la nostra gente, ma in realtà l’intero Paese, ha dato prova nell’affrontare la terribile prova che ci ha investito. Sono altresì fiero di aver potuto raccontare lo straordinario valore delle tante persone impegnate in prima linea in questa emergenza, ma anche di coloro che, da dietro le quinte, hanno fornito al territorio e all’Italia un supporto vitale. Molto altro ci sarebbe da dire di questo 2020 che, nell’immane tragedia che ha causato, lascia sicuramente un’eredità da non sciupare: un insegnamento “di vita”, per non dimenticare la straordinaria ricchezza... della vita, che spesso diamo per scontata e dovuta; il ruolo del nostro lavoro, ciascuno nel proprio ambito di attività; l’immenso valore dei nostri affetti, che dobbiamo saper coltivare ogni giorno; il patrimonio delle nostra società e delle nostre comunità, che hanno saputo trovare, in questa vicenda, un senso di comunanza davvero encomiabile. Ebbene, questa unione d’intenti non dovrà essere accantonata, ma deve essere salvaguardata anche per l’avvenire. Adesso, le nostre speranze sono affidate al vaccino da pochi giorni arrivato nel nostro Paese. Certo, serviranno alcuni mesi prima che questo enorme piano di immunizzazione di massa possa essere completato. Nel frattempo, dovremo ancora convivere con questa situazione di sospensione. Alla fine, però, torneremo alle nostre vite: ma non saranno quelle di prima, perchè quanto accaduto rimarrà, indelebile, nelle nostre menti e nei nostri cuori. E può essere – questo è il mio auspicio ed è anche il mio augurio per il nuovo anno appena iniziato – che proprio il ricordo, bruciante, di questa esperienza rappresenti un monito per la nostra coscienza, uno stimolo per moltiplicare il nostro impegno nel tentativo di costruire una società migliore da lasciare in eredità a chi verrà dopo di noi.
Alessandro Rossi
Direttore responsabile Mondo Padano
© Riproduzione riservata
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