serve una grande alleanza per il lavoro
Cinque anni di crisi hanno stremato le imprese, sempre più sofferenti per l’assenza di liquidità che ne ha ridotto ai minimi termini i margini d’azione e con una redditività ormai rasoterra. Il ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali, soprattutto la cassa in deroga, è lì a testimoniare la gravità della situazione. Lo scorso autunno, però, fra imprenditori e sindacato è iniziata una riflessione sulla strategia più efficace per cercare di risalire la china. ll percorso, tuttavia, si sta dimostrando non privo di difficoltà. Certo è che oggi moltre imprese sono poste di fronte a un bivio: cessare l’attività o tentare di resistere fra immani sacrifici. Di tanto in tanto, a Cremona come a Roma, si cita il modello tedesco come esempio da seguire. Ormai diversi anni fa, in Germania si diede vita ad una vera e propria ‘alleanza per il lavoro’: a fronte della assicurazione del governo federale di porre fine allo smantellamento sociale e della promessa dei datori di lavoro di creare 300 mila nuovi posti in tre anni, la IG Metall, il potentissimo sindacato tedesco, e poco dopo tutta la Federazione Sindacale, si dichiararono disposti ad accettare salari di ingresso ridotti per i disoccupati e a praticare la moderazione salariale.
Sindacato e lavoratori si addossarono dunque una parte dei sacrifici per consentire alle imprese di tenere le posizioni. Da parte loro le aziende si impegnarono a non licenziare. Oggi i dipendenti dei sei stabilimenti tedeschi di Volkswagen, azienda simbolo della locomotiva tedesca, si sono visti riconoscere un bonus di 7.500 euro calcolato sulla base dello straordinario aumento dei profitti del gruppo. E’, questo, un modello replicabile anche da noi? Secondo gli industriali sì, puntando ad esempio su un maggiore utilizzo dei tirocini per favorire occupazione e ricollocazione dei disoccupati, accentuando l’utilizzo del contratto di apprendistato per stimolare l’occupazione giovanile, ma anche dando vita a modelli di contrattazione aziendale in grado di favorire un’organizzazione del lavoro più flessibile sulla base dei picchi e delle richieste del mercato e magari dando vita ad una moratoria dei contratti aziendali per un periodo di tempo limitato. Anche i centri per l’impiego, secondo le aziende, andrebbero rivisti perchè, oggi, non mettono attivamente in contatto domanda ed offerta di lavoro. Gli imprenditori, insomma, sostengono sia giunto il momento di cambiare passo attraverso un accordo fra organizzazioni di categoria e sindacato: una riflessione su questi temi è iniziata lo scorso autunno ma non si è ancora trasformata in qualcosa di concreto. Argomenti come moderazione salariale e salario d’ingresso, in questa fase, vedono il sindacato piuttosto cauto.
Secondo Domenico Palmieri, segretario generale della Cgil, quello che manca davvero è «una politica industriale e una programmazione di medio-lungo termine che tenga anche conto dell’opportunità offerta dai fondi europei». Un’effettiva «sburocratizzazione del sistema» sarebbe un altro elemento importante sulla strada di una maggiore competitività del Paese. Il segretario della Cgil ne fa, insomma, una questione di priorità.
Anche Giuseppe Demaria, segretario generale della Cisl, si mostra prudente. «C’è una discussione in atto ma non siamo ancora ad un punto tale da mettere nero su bianco qualcosa» - osserva. Facendone anch’egli una questione di priorità: «Al momento il nostro problema più grande è trovare le risorse per la cassa integrazione e che il nuovo governo affronti finalmente in modo energico e strutturale il tema del lavoro».
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