di Rembrandt»
vendette alcune opere per aiutare i cittadini
Lascio la raccolta delle stampe del Rembrandt alla Biblioteca pubblica di questa città pregando che siano conservate diligentemente”. Così è avvenuto. Molte altre opere della sua collezione andarono invece disperse, perché il proprietario, Luigi Bellò, decise di vendere tutto, donando l’incasso ai poveri. Diversi suoi scritti inediti e la sua corrispondenza con eminenti personalità della cultura del suo tempo, furono distrutti secondo le sue indicazioni, poco prima della morte. L’abate Luigi Bellò si congedò dal mondo nel modo descritto da una biografia dell’epoca: “Non di rado gli uomini fregiati di alto sapere, di esemplari costumi, e di vita nelle private e pubbliche cose utilissimi, scendono quasi inosservati nella tomba, che né di fiori né di pianto si sparge; a rendere meno increscevole una tanta ingiustizia sorge talvolta nel cuore de’ superstiti una scintilla di amore concittadino, che alla memoria de’ migliori, una lagrima di riconoscenza e un serto di gloria concede. L’abate Luigi Bellò è fra questi e Cremona che fu degno di possederlo vivente, lo ha in morte con senno e col cuore lodato”. Ne parliamo con il professor Andrea Fenocchio, l’autore del libro appena pubblicato da Ronca Editore, casa editrice concittadina.
Professore, l’erudito Luigi Bellò - letterato, fine latinista e personaggio di spicco nella Cremona dell’epoca - sceglie per sé, dopo la morte, una vera e propria Damnatio memoriae autoinflitta. Ci tratteggi un poco la persona…
«L’abate Luigi Bellò, vissuto fra il 1750 e il 1824, nasce a Codogno ma all’età di dieci anni si trasferisce a Cremona. Nella nostra città studia con esiti eccezionali dai gesuiti, nel collegio di San Marcellino. Il padre è un giureconsulto che svolge un’attività parallela di spionaggio economico-finanziario per Léon Guillaume Du Tillot, politico francese e ministro del Ducato di Parma e Piacenza.
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