In Italia si registrano oltre 3.500.000 pazienti oncologici. Si tratta di un numero impressionante, che esprime bisogni molto diversi, che vanno dall’alta intensità assistenziale fino al solo supporto al trattamento attivo o follow-up.
In questo contesto l’ospedale, che si caratterizza sempre di più come una struttura per acuti, rischia di dover far fronte ad un carico inappropriato sia sul piano quantitativo – come numero di accessi - sia sul piano qualitativo – con prestazioni improprie -.
D’altro canto, la storia naturale del paziente oncologico è fatta di brevi ricoveri ospedalieri legati soprattutto alla terapia ed a lunghe fasi extra-ospedaliere o domiciliari, senza che vi siano ancora riferimenti territoriali strutturati. La necessità di ridurre gli accessi in ospedale, sia per la maggior fragilità di questi pazienti che per consentire un impatto positivo sul welfare, ha accelerato processi di innovazione organizzativa quali la domiciliazione di alcuni farmaci, l’utilizzo dei letti per cure intermedie, l’esecuzione di controlli di follow-up a livello territoriale, il ricorso alla tele-visita o al teleconsulto...
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