Era nato nel 1942 a Bagheria, la città di Guttuso e delle tante ville settecentesche, quelle in cui Tomasi di Lampedusa aveva immaginato il suo Gattopardo e nei cui saloni Visconti aveva girato la scena di ballo più iconica e meravigliosa della storia del cinema. Ed è forse la culla immersa in tanta bellezza ad aver portato Stefano Ginevra ad avvicinarsi all’arte. Anzi, a fare del canto la sua vita, un’arte però sbocciata e cresciuta a Cremona, dove il noto tenore ha poi trascorso la maggior parte dei suoi anni, tanto da sentirsi cremonese a tutti gli effetti, se non fosse per l’accento siciliano – peraltro musicalissimo – che non l’ha mai abbandonato. Pochi giorni fa il maestro Ginevra se n’è andato, in punta di piedi. Da tempo non si sentivano le sue accademie di canto, le sue conferenze all’Adafa dove raccontava delle grandi voci della storia, dei tenori leggendari come Francesco Tamagno e Giovanni Battista Rubini. Una volta nei corridoi della Monteverdi gli dissi: “Oggi più che Rubini ci sono dei Rubinetti”, e ricordo ancora le sua risata fragorosa e impostata come se l’avesse fatta su un palcoscenico teatrale. Avevo conosciuto Stefano ai tempi in cui entrambi insegnavamo alla Scuola di Musica Claudio Monteverdi, la mitica “Civica”, come si chiamava allora l’istituto che ha formato alla musica centinaia di cremonesi, alcuni dei quali diventati bravissimi professionisti. Una scuola in cui i sentimenti e le relazioni si cimentavano più di oggi e in questo il fatto di avere come direttore un galantuomo come Andrea Mosconi aiutava molto. Ricordo tra gli altri colleghi altri bravi musicisti che non ci sono più, come Mauro Moruzzi e Massimo Repellini, ma anche Antonio De Lorenzi, Marco Fracassi, Paolo Rossini, Adelmo Mafezzoni, Fulvio Rampi, oltre a Wim Janssen e Mario Vitale a loro volta poi diventati direttori. Tra tutti devo dire che Ginevra era quello col curriculum più importante. Un curriculum “da paura”, come direbbe oggi, nel senso che in carriera ha insegnato nei due Conservatori più blasonati d’Italia, il “Verdi” di Milano e il “Santa Cecilia” di Roma, cosa che è accaduta solo a un’altra musicista cremonese, la grande pianista Carla Giudici, scomparsa alcuni anni fa. E come cantante si era esibito alla Scala nello storico concerto del 1967, nel quarto centenario della nascita del “divin Claudio”, in cui la Camerata di Cremona diretta da Ennio Gerelli celebrò Monteverdi. Era giustamente orgoglioso di aver cantato le arie del più grande compositore cremonese anche davanti al presidente De Gaulle. Come direbbero i francesi: “chapeau!”.
Roberto Codazzi
direttore artistico del Museo del Violino
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