Era la Valtellina la seconda strada verso la Svizzera per gli ebrei in fuga e in quelle montagne e fra gli alpeggi e le case di alcuni agricoltori ancora se ne parla. “Da Ponte li accompagnavano lungo la Val Fontana sino al confine svizzero. Ci volevano 5 o 6 ore di cammino. Ma chi lo faceva non lo raccontava molto in giro. Era pericoloso” ricorda Maria Petruzzi, 92 anni, una vita da contadina in montagna, che la Val Fontana l’ha percorsa in lungo e in largo e che adesso si riposa presso la residenza per anziani “Costante Patrizio” di Ponte. Intervistata dalla Coldiretti Lombardia in occasione della Giornata della Memoria, racconta: “I fascisti controllavano tutti e chi li aiutava correva dei grandi rischi. Nessuno voleva dire che li assisteva. Venivano ospitati nelle case, nelle stalle, e poi aiutati a fuggire”.
In valle le storie degli ebrei in fuga sono rimaste chiuse nei ricordi di famiglia – spiega la Coldiretti Lombardia – è quasi mai raccontate fuori, ma chi frequentava alpeggi e sentieri sapeva bene che quella della Valtellina era per molti la via della salvezza, dopo quella più battuta del confine lariano. Lo fu per 200 ebrei provenienti da Zagabria che nel 1943 vennero internati all’Aprica dove la piccola comunità agricola di montagna, dopo un’iniziale diffidenza, fece in fretta amicizia e aiutò quegli stranieri arrivati da lontano e che erano insegnanti, ingegneri, medici e avvocati.
Fra loro c’erano anche il rabbino di Sarajevo e la contessa Horn di Vienna, la vedova del rabbino di Zagabria Mira Gavrin con i due figli o il violoncellista dell’Opera di Vienna Igo Isidoro Druker. Dopo l’8 settembre 1943, quando l’Italia capitolò e si scatenò la furia nazi fascista, gli ebrei zagabresi dell’Aprica vennero aiutati a scappare in Svizzera dalle famiglie contadine del posto, coordinati dai parroci e con la collaborazione delle forze di polizia di frontiera italiane, come ricorda il documentario “Gli zagabri” prodotto da Giovanni Porta in collaborazione con l’Anpi, il Comune di Aprica e l’Università degli studi dell’Insubria. “La Shoah – afferma Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti Lombardia – ha rappresentato la più grande tragedia della storia moderna. In quel periodo è venuto fuori il peggio, ma per fortuna anche il meglio delle persone, come raccontano le storie di chi ha avuto il coraggio di non tirarsi indietro quando ci fu da salvare delle vite umane”.
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