Bravi quanto quelli di ieri, ma diversi
E anche la scuola è cambiata»
«Ho insegnato Italiano e Latino al liceo scientifico di Cremona dal 1970 al 2007. Prima ancora ero stato, per un breve periodo, alle Magistrali e al Classico. I miei 40 anni di insegnamento sono quindi compresi tra la contestazione del ’68 e l’avvento di internet. Il filo che collega tutti questi anni, parlo dello Scientifico, riguarda i presidi. Allora come adesso, ci tenevano che la scuola funzionasse bene e che gli allievi studiassero. Una scuola seria e impegnativa con un buon corpo docenti: in questo senso non è cambiata.
Partiamo pure dal ’68. Io venivo dalla Statale di Milano, quindi la contestazione studentesca che ho trovato a Cremona, era all’acqua di rose. Ricordo che una notte la passai con gli studenti. Era stato il preside Taglietti a chiedermelo giustificandosi con il fatto che ero il più giovane. La mia impressione fu che gli stessi studenti che occupavano la scuola, fossero rassicurati della presenza dell’insegnante. Oltretutto le loro prime rivendicazioni erano più che giustificate. Ad esempio, la riforma dell’esame di maturità, una richiesta che venne accolta subito. Poi i programmi: chiedevano non si partisse dall’avanti Cristo per poi trascurare la storia moderna. La scuola si è anche avvicinata alle famiglie, con la partecipazione dei genitori ai consigli di classe. Una breve stagione, forse, ma l’apertura alle famiglie la considero un aspetto positivo nel rinnovamento della scuola.
Ero un professore severo? Mi pare di aver avuto questo sentore. Anche se, a parte i primi anni nei quali avevo classi molto numerose (ne ricordo una con 36 studenti), ho sempre dato pochissimi esami a settembre. Naturalmente a quelli che non studiavano. Devo dire che mi ritengo fortunato per le classi che ho avuto, tutte di buon livello. Ancora più fortunato con il corpo insegnante, capace e unito. Io facevo il triennio e andavo in carrozza per la preparazione con la quale mi arrivavano gli studenti grazie al professor Mainardi. Ma pensate chi dispensava Matematica: con la Baroli nel biennio anche lui andava in discesa. Tra i tanti colleghi ricordo con affetto don Carlo Bellò, la professoressa Ida Barbieri, la Bocchi, la Cristofoletti, la Arata Moreni. A volte, quando capitava una classe più vivace delle altre, mi incaricavano di usare il pugnetto di ferro e io dovevo eseguire l’ordine. Sarà per questo che mi è rimasta la nomea di professore severo.
Gli ultimi studenti che ho avuto, ci tengo a dirlo, non erano meno bravi di quelli degli anni ’70, dei Floriano Soldi o dei Mino Galli. E’ una falsità affermare che gli studenti di oggi siano dei lazzaroni. Trovo, anzi, che i miei primi studenti avessero un modo più retorico di scrivere, adesso c’è più vivacità e più scioltezza. Le mie classi, fra l’altro, in campo letterario sono state fortunate perché, per alcuni anni, abbiamo collaborato alla selezione del premio Strega. In un’occasione siamo andati anche a Napoli.
E’ cambiato anche il modo di interrogare. Negli Anni 70 e 80 si memorizzava molto, adesso l’interrogazione è molto più colloquiale e spazia su diverse discipline. Una volta s’imparava che lo scrittore era nato il tal giorno e si faceva un’analisi delle opere. Adesso lo si inserisce nel contesto storico, culturale e filosofico dell’epoca. Io mi facevo anche portare dallo studente: se era capace – e ce n’erano di bravi – lo seguivo nel suo percorso.
Sui programmi mi sono sentito un po’ un innovatore. Facevo il Quattrocento in terza e in quarta anticipavo una parte dell’Ottocento. Così, in quinta, partivo con Manzoni, poi da gennaio potevamo dedicarci al Novecento. Negli ultimi anni gli studenti si portavano a casa dei floppy disc: una parte della lezione era memorizzata, potevamo sviluppare in classe l’altra parte. Internet lo sempre visto con occhio favorevole, ma su Dante, ad esempio, non si poteva trovare tutto. Meglio il libro. E anche lì c’è stato un grande miglioramento: adesso sono più approfonditi, più critici, più aperti ad altri contributi.
Siamo stati i primi, credo, a prendere l’aereo e ad andare in gita. Era l’inizio degli Anni ’80: la meta era la Grecia. Come contrappasso, un anno, ho dovuto subire una settimana bianca, nella quale però ho doverosamente proposto di far lezione al pomeriggio. Per anni la gita è stata comunque un momento importante, da preparare bene durante l’anno. Gli studenti mettevano via qualcosa, o almeno così mi dicevano, in vista della gita. A quell’epoca poi, la scuola poteva intervenire in caso di bisogno, adesso, non più. Ecco, qui si stava meglio prima, ma è uno dei pochi aspetti nei quali la scuola non è cambiata in meglio».
Giampietro Billi, professore di italiano e latino
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