su globalizzazione e digitalizzazione
Il sistema dei media, le sue evoluzioni tra globalizzazione e digitalizzazione, le trasformazioni sul piano istituzionale e comunicativo. “Confini mobili. I sistemi mediatici nazionali tra globalizzazione e digitalizzazione” (I Libri di Emil editore) è il titolo della pubblicazione di Paolo Carelli, giovane cremasco esperto di comunicazione.
Da abile ricercatore del settore, Carelli evidenzia come negli ultimi decenni, sotto la spinta di due fenomeni come la globalizzazione e la digitalizzazione, lo stato-nazione abbia visto un indebolimento del proprio raggio d’azione, mentre i media sono stati attraversati da profondi mutamenti tecnologici e culturali che ne hanno modificato gli aspetti produttivi, fruitivi e distributivi. Vengono affrontati, nello specifico, i casi di Spagna e Italia, due Paesi fondati su modelli istituzionali e comunicativi piuttosto simili e da tempo impegnati in percorsi di ricostruzione dell’identità mediatica.
Cosa l'ha spinta a dedicarsi all'analisi dei media in questa chiave di lettura?
Quella per il mondo dei media – in tutte le sue sfumature - è una passione che risale a parecchi anni fa e che ho sempre cercato di strutturare attorno a un’analisi quanto più possibile critica dei suoi rapporti con altre dimensioni della vita sociale. Il libro cerca di coniugare discipline differenti che vanno dalla scienza politica alla sociologia ai media studies.
Cosa racchiude il titolo "Confini mobili"?
Il titolo riassume lo slittamento della tradizionale e radicata coincidenza dei confini degli stati nazionali con i confini dei rispettivi sistemi dei media; essendo pienamente investiti dai flussi del mondo globale e digitale, i media vedono modificare la propria relazione con gli stati d’origine. Naturalmente, questo processo avviene con modalità e intensità differenti da Paese a Paese, con resistenze nazionali che permangono in termini di linguaggi, cultura, identità, regolamentazione.
Quanto hanno inciso globalizzazione e digitalizzazione sulla storia recente del nostro Paese?
Moltissimo, come in tutti i Paesi del mondo. A partire almeno dagli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, questi due fenomeni - sorti in maniera apparentemente indipendente ma rinforzatisi a vicenda – hanno rappresentato il terreno su cui si sono prodotte le maggiori trasformazioni sociali. In tutto questo, i media hanno giocato un ruolo attivo e passivo allo stesso tempo: hanno contribuito a generare questi cambiamenti, ma allo stesso tempo si sono trovati immersi a operare in un contesto in trasformazione, modificando essi stessi la propria natura e la propria funzione, in particolare nel rapporto con gli stati nazionali d’appartenenza.
Come è cambiata l'identità dell'Italia in relazione ai mezzi di comunicazione?
La storia recente dell’Italia è intrecciata in maniera inestricabile con quella dei media, della televisione in particolare, che continua a giocare un ruolo centrale, soprattutto in virtù della scarsa tradizione di altri consumi mediali e culturali del nostro Paese. Negli anni ’50, il servizio pubblico televisivo aveva una funzione essenzialmente ludico-pedagogica, doveva divertire ed educare. Già a metà degli anni ’70, quelle funzioni potevano considerarsi esaurite e l’obiettivo della tv pubblica divenne principalmente quello di garantire un pluralismo e una rappresentanza che tuttavia rimasero confinati al Parlamento e alla realtà dei partiti politici, istituzionalizzando di fatto il controllo del sistema politico sul servizio pubblico. Con la nascita delle tv commerciali, il quadro si complica. E le cose stanno cambiando nuovamente.
In cosa somiglia e in che cosa differisce l'Italia dalla Spagna, anch'essa analizzata nel libro?
Spagna e Italia appartengono a quello che due studiosi come Daniel Hallin e Paolo Mancini hanno chiamato “modello pluralista-polarizzato” (o “modello mediterraneo”) dei sistemi mediatici. Essi hanno in comune una serie di aspetti strutturali: una stampa debole, il primato degli audiovisivi e della televisione in particolare, un elevato parallelismo politico ovvero la prossimità tra mass-media e sistema politico, un basso livello di professionalizzazione giornalistica, un intervento statale sottoforma di finanziamenti pubblici e restrizioni normative, e tanti altri. Tuttavia, emergono delle specificità nazionali che investono le storiche fratture sociali e culturali dei singoli Paesi (per esempio, la tormentata frattura tra centralismo e rivendicazioni autonomiste in Spagna) o le svolte politico-elettorali avvenute nel corso degli anni, che si sono riverberate inevitabilmente anche sul sistema dei media. Ma è interessante notare come i sistemi mediatici di due Paesi strutturalmente simili abbiano risposto in maniera molto diversa a globalizzazione e digitalizzazione; molto dipende anche dalla diffusione della lingua d’origine nel mondo che dà vita a percorsi di riorganizzazione mediale diversi. Basti pensare, per esempio, al ruolo giocato dalla lingua spagnola e dalla sua diffusione in determinate aree geografiche nel favorire la nascita di generi e format espressione di una “latinità” condivisa (come le telenovelas) contrastanti, in un certo senso, con l’omologazione produttiva dei grandi network globali.
Qual è la situazione della comunicazione oggi?
La proliferazione dei media digitali ha moltiplicato piattaforme, contenuti, modalità di produzione e fruizione. Il rischio, tuttavia, è che oltre alle opportunità di apertura e diffusione della conoscenza emergano nuove forme di disuguaglianza e nuovi oligopoli. Il digital divide, la concentrazione del potere in pochi grandi colossi, la standardizzazione dei linguaggi, l’assenza di sperimentazione: sono tutti aspetti che caratterizzano le nuove forme di comunicazione digitale e che aprono anche una grande questione democratica legata all’accesso e alle modalità di costruzione dell’opinione pubblica.
"Essere in contatto", ad esempio su una piattaforma informatica o un social network, è sufficiente per definire un rapporto di comunicazione tra due persone?
L’annullamento delle distanze spazio-temporali reso possibile dalla rete è una grande conquista anche in termini di relazioni comunicative. Tuttavia, non caricherei internet e i social network di un potere che non hanno, come in maniera frettolosa spesso viene fatto.
Al di là della sua formazione, qual è la lettura preferita nel tempo libero? Tre libri che non possono mancare nella biblioteca personale.
Narrativa, i romanzi di Joe Lansdale e Jonathan Coe. Ho amato molto anche i reportage di Paolo Rumiz dall’Europa orientale.
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