Se c’è un’immagine iconica che rimanda al primo periodo del Covid a Cremona, di cui in questi giorni ricorre il quinto anniversario, la memoria non può che tornare lì. All’immagine potente di una figura esile vestita di rosso che imbraccia il suo violino sul tetto dell’ospedale cittadino. Il cielo come cornice, la città per palcoscenico. E le note riempiono i silenzi, inondano le strade vuote, attraversano le corsie per arrivare ai malati, ai medici e agli infermieri stremati, e giungono nelle case serrate contro un nemico invisibile. Un’onda consolatoria per cuori impauriti, che asciuga le lacrime e li fa sentire tutti parte dello stesso destino. Aggrappati e sospesi.
Quella violinista era Lena Yokoyama. Di Osaka, figlia d’arte, a Cremona arriva nel 2006, inizialmente per fare un’esperienza di studi, ma si innamora della città che, racconta, sente subito “sua”. Tanto che «quando i media mi presentavano come violinista giapponese ma cremonese d’adozione ero davvero felice e orgogliosa».
Anche lei ha un ricordo indelebile di quell’esibizione solitaria. Un momento che ha rafforzato il suo modo di essere musicista.
Lena, cosa ricorda di quei momenti?
«Il primo concerto, a inizio aprile, era stato sul Torrazzo. Avevo risposto subito di sì alla proposta di Filippo Mondini di Pro Cremona, che aveva avuto l’idea dei concerti: un modo per incoraggiare la città a non arrendersi. L’abito in quella occasione era rosa e doveva contribuire a dare una sensazione di delicatezza, una carezza. Era rosso, invece, il vestito del concerto sul tetto dell’ospedale, simbolo di forza, energia e amore per le persone che stavano soffrendo e per i sanitari che lavoravano senza interruzione. Qualche mese dopo si era aggiunto un terzo concerto sul fiume Po. Mi sono rimasti tutti nel cuore, ma l’esperienza più forte è stata sicuramente quella sul Torrazzo. Era la prima volta, infatti, che durante il <+S lockdown, uscivo di casa con il mio strumento...
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