Promuovere il welfare in una società che cambia non è sempre facile, ma bisogna riuscirci. Le richieste dei lavoratori di oggi sono diverse da quelle di cinquant’anni fa. Un tempo trovare laureati, soprattutto di facoltà come Economia e Ingegneria, era relativamente semplice, oggi molto meno e quei pochi ancora presenti sul mercato bisogna motivarli, quasi “sedurli” per convincerli a farsi assumere in azienda.
Ancora: un tempo i giovani chiedevano soprattutto soldi, pronti a fare anche gli straordinari per averne di più; oggi invece preferiscono meno denaro in busta-paga ma più ore libere a propria disposizione.
Come far fronte a tutto questo e come conciliarlo con i ritmi propri di un’impresa? Lo chiediamo alla dottoressa Michela Donesana, Hr Manager di Coim SpA, una società chimica del nostro territorio con 500 dipendenti, leader nella produzione di poliesteri e polioli, poliuretani e resine speciali per la realizzazione di materiali compositi e coatings.
Dottoressa, da voi fare welfare significa…
«Molte cose… Innanzitutto, significa benefit per tutti, puntando su produttività e meritocrazia! Ne è un esempio il premio di partecipazione riconosciuto a chi non fa assenze. È stato concordato con i sindacati, che coinvolgiamo sempre sugli andamenti dell’azienda. Cosa vuol dire? Che chi è presente attivamente, anche in termini di qualità del lavoro, partecipa all’utile aziendale e per questo viene ricompensato con un moltiplicatore rispetto alla base di partenza del premio di partecipazione. Non basta. L’azienda ha deciso, sempre d’accordo coi sindacati, di premiare con un giorno di ferie in più all’anno il lavoratore, che continuativamente, per più anni garantisce tale presenza. Inoltre, abbiamo pensato alle famiglie dei nostri dipendenti con un bonus bebé di 5.000 euro per i nuovi nati, da spendere entro i primi tre anni di vita...
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